tráelo a casa - capìtulo 1

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    Non chiuse occhio tutta la notte. Fra le lenzuola del suo letto, Pilar s'era girata e rivoltata senza tregua, tentando invano di riposare almeno un'ora. Sancho infastidito era saltato giù dal letto, andando ad acciambellarsi sulla poltra lì accanto, non senza lanciarle uno sguardo di biasimo con i grandi occhi gialli. Alla fine rinunciò al sonno, s'era tirata su e aveva lanciato uno sguardo all'orologio sul comodino. Le lancette segnavano le quattro. Sospirò abbandonando il letto e dirigendosi in bagno, dove scoprì che quella mattina era anche quel giorno del mese. “Hostia!” imprecò passandosi le mani sul viso. Rimase per qualche istante così, seduta sulla tazza mentre cercava di far ordine nella testa, accantonando il fastidio appena provato per la sua condizione di femmina, che di solito non la scompensava più di tanto. Ma erano successe troppe cose e tutte assieme, perchè alla vita piaceva così evidentemente. Fare mente locale dopo una notte in bianco non era cosa semplice, ma ci provò ugualmente e il risultato fu un sommario ripasso del piano che aveva formulato. La parte complicata non sarebbe stata trovare Iago e forse nemmeno convincerlo a tornare negli States. Quello che la preoccupava era il possibile coinvolgimento di Ander e di eventuali altri seguaci di Grindelwald... Sbuffò, tamponandosi con della carta e catapultandosi sotto la doccia. Fredda, perchè doveva avere la mente lucida e sveglia.
    Erano le sette e trenta quando arrivò al Dipartimento Auror. Per i corridoi c'erano i colleghi del turno di notte pronti a ritornare a casa. Scambiò un saluto con alcuni di loro, mentre raggiungeva di gran carriera la macchina del caffè. Ne aveva già bevuta un'intera tazza a casa, ma il caffè non era mai abbastanza, specialmente quel giorno.
    Con la seconda tazza fumante della nera bevanda andò a sedersi sulla sua scrivania. Per un attimo rimase a fissare la scrivania vuota davanti la propria, figurandosi la figura di suo fratello Iago ricurvo su verbali da compilare...
    “Se mi avessero detto che ci sarebbe stato tanto da scrivere, avrei preso in considerazione la carriera di romanziere.” Iago espresse col pensiero ad alta voce, mentre scriveva frettolosamente su un pezzo di pergamena. Il fascicolo aperto davanti a lui riguardava un'indagine sulla manomissione di alcuni manufatti nomag con implicazione di una famiglia della malamagica newyorchese. Aveva alzato lo sguardo su Pilar seduta alla scrivania di fronte alla sua e le aveva lanciato un sorriso divertito. “ Niño de mamá...” lo prese in giro, sistemando il verbale del caso Masowsky. Iago rise, “Non mi dire che tu ti stai divertendo!” esclamò esagerando la sua indignazione, portandosi una mano al petto con fare scandalizzato. Pilar fece una smorfia di palese noia, sollevando lo sguardo verso l'alto e sbuffano con una pernacchia. Poi scoppiò a ridere, seguita da Iago, “Ah vale, creìa!” esclamò.
    Scosse il capo, chiudendo gli occhi e tornando al presente. Bevve un sorso di caffè dalla tazza e tirò fuori dal borsone che aveva con sé il fascicolo sul caso del traffico illecito di whisky incendiario. Lo sfogliò rapidamente, controllando le foto degli indiziati, la cartina delle zone interessate dallo spaccio e le annotazioni che aveva trasmesso suo fratello fino alla settimana scorsa. Pilar notò che perfino la calligrafia non era più la stessa. Sospirò, prima di voltarsi per frugare nel borsone alla ricerca dell'orologio da taschino che le aveva affidato suo padre. Non l'aveva riconosciuto subito, quel vecchio cimelio di famiglia che era stato tramandato affinchè potessero non perdere mai ciò che contava... Potessero non perdersi mai. Sarebbe stato quello a portarla dritta da Iago.
    Controllò l'ora. Era stata programmata una passaporta per le ore 9.00 che l'avrebbe portata dritta a Londra, non lontana dal quartiere di Fulham. Aveva ancora un'ora.

    Ormai mancava poco alla partenza. Sulla scrivania c'era la tazza di caffè vuota, ma prima era stata riempita almeno altre due volte. Aveva riposto di nuovo il fascicolo del caso nel borsone, mentre l'orologio se l'era messo in tasca per averlo a portata di mano. Controllò di avere tutto ciò che le occorreva. Non s'era portata dietro molto, poiché contava di ritornare a casa con Iago quanto prima e sperava davvero che fosse andata così.
    Improvvisamente sentì una strana sensazione, come quando ci si trovava sotto il sole di dicembre, irradiata da un tepore rassicurante. Si girò, istintivamente, e i suoi occhi incontrarono quelli grigi di Freya. Una morsa allo stomaco. Fu solo un attimo, perchè Freya distolse subito lo sguardo ed entrò nell'ufficio del Generale. Esattamente come il sole di dicembre, Pilar sentì freddo e abbassò lo sguardo, sorridendo amaramente. ¿Qué te esperabas, ilusa? É stata solo pietà, la conseguenza naturale di circostanze straordinarie. A ella no le gustas. Es decir, ¿cómo podría? Lei non è come me.
    Legò i capelli in una coda di cavallo e chiuse il borsone, gettandoselo sulle spalle. Era ora.

    La passaporta era un vecchio apparecchio telefonico. Pilar toccò l'oggetto ed iniziò a contare all'indietro da dieci.
    Nove. Otto. Sette... Un vortice improvviso la risucchiò. Sembrò durare all'infinito ed in effetti durò molto più del solito. Quando il vortice di energia la risputò dall'altra parte dell'oceano, Pialr mantenne l'equilibrio per non finire faccia in terra per un soffio. Ma il fastidio di quel viaggio non si fece attendere. Nel vicoletto nel quale era ricomparsa, dovette sorreggersi al sudicio muro di mattoni, un tempo rosso, per vomitare. Odiava le passaporta. Si asciugò le labbra, cercando di non pensare al saporaccio che le era rimasto in bocca e i rimise dritta. Tirò fuori l'orologio dalla tasca e studiò la traccia. Puntava a Sud- Ovest. Si raddrizzò il borsone sulla spalla e s'incamminò.
    Arrivò davanti un edificio all'apparenza abbandonato. Lo scrutò, osservando le finestre dai vetri rotti e sbarrate da travi di lego consunte. Anche l'ingresso era sbarrato... Ma era lì che doveva entrare, perchè l'orologio non sbagliava.
    S'infilò nell'edificio ed imboccò le scale, alla fine delle quali trovò un'unica porta. Chiusa. Le si avvicinò e senza indugiare bussò, mimando il ritmo di una marcetta, così come erano stati soliti fare da piccoli, cosicchè potessero capire che non si trattava di altri se non di loro.


     
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    [Iago]
    Oggi è iniziato come ieri.
    E l’altro ieri.
    E tre giorni fa.
    E ogni giorno dell’ultimo mese.
    Un loop. Il mio. Elaborato alla perfezione. O almeno così credevo.
    Ho cercato di adattarmi ad uno schema più rigido da quando la mia quotidianità ha mostrato le sue falle. Ho cercato una soluzione al malessere sordo che sentivo, a quella sensazione costante d’essere spiato, osservato, troppo spesso manipolato. Ho tentato, con ogni mezzo di prendere possesso di me e della mia esistenza. Credevo di esserci riuscito.
    Ho scandito il mio tempo in queste terre straniere, con atti in cui adoperarmi e azioni a cui non potevo sottrarmi, annotando su un diario ogni dettaglio della mia giornata. Credevo che scrivere quel che mi capitava mi avrebbe permesso di dare un senso ai continui vuoti di memoria che non mi danno pace. All’inizio è stato così. Scrivevo ora dopo ora i miei pensieri, i miei spostamenti. Annotavo i miei programmi per il prossimo futuro o le mie scoperte circa le indagini che sono stato incaricato di seguire. Poi le pagine sono diventate più vuote. Le parole più corte e veloci. E’ durante la notte che la mia vita cambia e le parole scritte su quei fogli ingialliti si curvano e ritorcono contro di me. Sembrano voler soggiogare la mia mente, convincermi delle fandonie che raccontano in un lessico che non mi appartiene. Ma la grafia continua ad essere la mia e questo non fa che confondermi.
    Mi confonde il sonno che opprime le mie giornate o il risveglio al mattino in posti che non conoscevo. Non c’è più niente di normale nella mia vita e una marea di ipotesi si fanno largo nella mia mente, rendendola ancora più piena e caotica di quanto già non sia.
    Una soluzione, è quella che mi impegno a cercare in tutti i mezzi, anche quelli terribili. Me la sono imposta ieri sera, quando sono tornato a casa con vestiti sporchi di sangue e nocche spaccate. Essere un pericolo per me, è qualcosa che posso gestire, ma il timore di esserlo per gli altri mi annichilisce.
    Tornato a casa ho sigillato le uscite, le finestre. Nascosto la mia bacchetta. Ho legato il mio polso con manette che avrebbero dovuto ancorarmi al letto e col cuore tremante mi sono detto sicuro. Il mondo lo sarà da me.
    Così le palpebre lentamente si chiudono ma resto vigile, aspetto, convinto qualcosa possa accadere da un momento all’altro. E accade. E’ in catene che mi sento, ma ad essere bloccato non è solo il mio polso, e la mia prigione non è il letto su cui sono.
    Assisto come da lontano ad uno scenario che appare opaco e a cui la mia mente mi impone di non prestare attenzione. Potrei farlo, ma il tintinnio delle manette accelera il mio respiro e quando, con una fatica immane, riesco a riaprire gli occhi non sono più sul letto ma a terra. Il mio polso livido, libero.
    Credo di aver perso il controllo. Forse non solo ora. Ed è il timore che è ormai quasi consapevolezza a farmi esplodere. A farmi urlare contro il vuoto di questa camera, mentre scaravento sedie e oggetti qua e là. Urlo fino a graffiarmi la gola mentre chino su me stesso, picchio le mani sull’unico nemico che ho scorto e che non riesco a combattere, me stesso.
    E non lo so come e quando ma in un attimo mi ritrovo dinanzi allo specchio, spaccato in due, un coltello alla gola. Lo farei se fosse questo l’unico modo per mettere un freno a tutto ciò che non capisco ma la mia mano resta immobile, come se non fossi io a decidere per lei.
    La mia mano si apre, il coltello cade con un rumore metallico sul pavimento e segna un nuovo fallimento. Il mio.
    E’ un motivetto familiare a riportarmi alla realtà, qualunque essa sia oramai.
    Mi lascio andare alla parete accanto alla porta, stanco. Non so se è la mia mente a continuare a prendermi in giro, ma se dietro la porta c’è Pilar, l’unica cosa che posso fare è tentare di allontanarla. “Pì?” La mia voce risuona spezzata. Flebile.
    “Vai via, per favore.” Un sussurro che si aggiunge al precedente mentre la mia testa si poggia stanca contro la parete. “Qualunque cosa ti abbia portato qui non è un buon momento.” I miei occhi lucidi fissano il soffitto.
    Un giorno avevo tutto. Una famiglia, un lavoro e il controllo sulla mia vita. Un giorno ero felice e non lo sapevo. Ora che ho perso tutto, che mi sono perso io, mi chiedo che senso abbia questa esistenza.
    Il silenzio che ne segue è accompagnato solo dal mio respiro pesante, dalla voce roca che pronuncia in lacrime la mia resa dopo giorni di continua lotta. “No se que me esta pasando.” E lo dico a me più che a Pilar che in definitiva potrebbe essere, anche lei, solo una proiezione della mia mente. No quiero herirte





    *Non so cosa mi sta succedendo.
    ** Non voglio ferirti.
     
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    Pilar osservava la porta, ascoltando con attenzione, aspettando che il silenzio di quel luogo venisse rotto da un qualsiasi suono o rumore. Controllò di nuovo l'orologio da taschino che suo padre le aveva affiato. Iago doveva essere per forza lì dentro. “Pì?” Ed infatti. Pilar sollevò nuovamente lo sguardo sulla porta, tendendo le orecchie per poter ascoltare. Era stata una voce flebile, appena udibile al di là della porta chiusa. “Vai via, per favore.” questa volta la voce di suo fratello venne accompagnata dallo scricchiolio delle assi di legno sulle quali poggiavano anche i suoi piedi. Corrugò la fronte, riflettendo sull'assurda richiesta che le aveva fatto. No voy a ningún lado Iago. Si morse l'interno della guancia, per cercare di restare concentrata mentre la preoccupazione le cresceva dentro. “Qualunque cosa ti abbia portato qui non è un buon momento.” “Hace años que no es un buen momento. gli rispose, anche se sembrò rivolgersi più a se stessa che al fratello. Fece un passo indietro, constatando che la porta che li separava non fosse molto solida. Anzi. I cardini erano totalmente mangiati dalla ruggine e gli angoli erano smussati dal tempo e dall'incuria... Pilar si ritrovò a pensare che doveva essere messa proprio così la casetta del secondo porcellino della storia, perchè il lupo riuscisse a buttarla giù con un soffio di fiato.
    “No se que me esta pasando.” Iago parlò ancora, ma sa volta nella loro lingua. Quella della pancia, quella che veniva fuori quando le cose li toccavano nel profondo. Pilar ne riconobbe il tono incrinato, rotto. “No quiero herirte” No voy a dejarte con tus fantasmas. pensò con fermezza. Se era lì, non era certo per quel ridicolo incarico sul contrabbando del whisky. Se aveva affrontato loro padre dopo tutto quello spesso ed impenetrabile silenzio, non era certo per arrendersi al primo premuroso rifiuto di farsi aiutare. Avrebbe dovuto dirne di no, Iago, prima di capacitarsi che fossero una perdita di tempo. Si morse ancora l'interno della guancia, pensosa.
    “Se sei dietro la porta, Iago...” disse seria, ignorando le parole di suo fratello. Quelle che alle orecchie le sarebbero pare delle sciocchezze infondate, se solo Josè non l'avesse messa al corrente della verità. Di Ander, e del pericolo che comportava. “Muévete.” concluse perentoria. Contò fino a cinque, nella propria mente, prima di agire.
    Pilar tirò su il ginocchio sinistro e con forza e precisione, buttò giù la porta con un calcio. Si infilò all'interno della stanza, illuminata dalla luce fioca che filtrava dai vetri sporchi delle finestre e si guardò attorno cercando la figura di suo fratello.
    Non fu difficile individuarlo. Iago se ne stava seduto, quasi rannicchiato alla destra della porta, contro la parete. Pilar lo guardò, cercando di far combaciare l'immagine dell'uomo retto e disciplinato, con la divisa sempre in ordine che era stato Iago, con l'uomo rannicchiato davanti a sé.
    La vita s'era accanita sulla loro famiglia, senza dare tregua a nessuno di loro. Ma su Iago aveva decisamente esagerato...
    Pilar si mosse piano, fino ad inginocchiarsi di fronte suo fratello. Ne cercò lo sguardo, lasciando che il proprio indagasse il volto che aveva davanti... Iago sembrava invecchiato, stanco come chi non aveva chiuso occhio tutta la notte, ma più di quanto lo fosse lei. Stanco come chi inizia a credere di non avere più motivi per continuare a star sveglio. Pilar prese le mani di Iago e le allontanò dal volto. Mirame.. Cercò i suoi occhi e gli scostò dolcemente i capelli dalla fronte, prima di posare le mani sul viso stanco di suo fratello. “Mirame... Respira.” gli occhi di Pilar si spostavano a guardare quelli di suo fratello, mentre cercava di farsi seguire inspirando affondo, “Dentro y fuera.” Ven conmigo, Iago.
    Sentì un improvviso calore dietro la schiena e dovette chiudere gli occhi per un istante, espirando piano, senza lasciare la presa morbida sul volto di Iago. Caldo anche dietro la nuca.
    Nelle orecchie la sua voce, che le ripeteva le stesse cose che lei stava dicendo adesso a Iago. -Calma, Pilar, calma. - un brivido caldo, come quelle parole contro l'orecchio. Fu la memoria di quel momento a guidare Pilar ad accarezzare il volto di suo fratello, i suoi capelli, continuando a respirare, ascoltandolo iniziare a fare altrettanto.
    -Sei al sicuro. Respira piano. Fai entrare l’aria dal naso e portala fuori dalla bocca. Piano. Insieme a me.- “No pasa nada, estoy aquì.” disse piano, ricordando l'abbraccio caldo e saldo al quale s'era aggrappata con tutta se stessa. S'era aggrappata con tutta se stessa a lei, che da allora non l'aveva più degnata nemmeno di uno sguardo...
    Pilar riaprì gli occhi, ignorando la fitta allo stomaco che quel ricordo le aveva provocato. Ignorando tutto quello che aveva lasciato a casa e tornando a concentrarsi su Iago davanti a sé.
    “Io so cosa ti succede... ma, ascoltami, andrà tutto bene. Capito, Iago?” gli chiese, facendo ancora un passo avanti verso di lui, poggiandosi con le ginocchia sul pavimento polveroso e aspettando un cenno di assenso da parte di Iago, un segno qualsiasi che le avesse fatto capire che era pronto ad ascoltare ciò che aveva da dirgli. Anche se, Pialr era convinta che non si potesse essere davvero pronti ad una verità simile.

    Sono anni che non è un buon momento.
    Spostati
    Guardami, respira.
    Dentro e fuori.
    Va tutto bene, sono qui


     
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    [Iago]Resto immobile contro la parete. Lo sguardo perso dinanzi alla devastazione di questa stanza come della mia esistenza. Avrei dovuto arrendermi a questo mood. Al veloce rovinarsi delle mie giornate, ma ho combattuto. Ora, stanco, mi rendo conto di quanto inutile sia stato provare a rinsavire, a tirarmi fuori da un fango malevole che mi ha tirato giù con infamia, che mi vuole giù, nel baratro di cui non conosco i contorni.
    Lentamente, tiro su lo sguardo su Pilar quando fa il suo ingresso e mi si pone dinanzi. Seguire il ritmo che mi impone mi pare difficile. Ogni respiro lo è. Il petto è schiacciato da un presente che non comprendo, da una tristezza che mi stringe il collo.
    “Ci credi sul serio?” Che tu andrà bene. Non è mai andato bene.
    Ogni tragedia ha solo lasciato spazio a lunghi momenti di stasi, in cui l’angoscia ha avuto modo di crescere, annodarsi e svilupparsi, di ricrearsi e ripresentarsi in costanti e sempre diverse forme nuove. Giorno dopo giorno, sono anni che nulla è più andato bene.
    Distolgo lo sguardo dal suo. Vorrei aver la forza di tirarmi in piedi e nascondere l’immagine pietosa di me che si staglia ora dinanzi ai suoi occhi. Vorrei essere il fratello forte e deciso di cui avrebbe bisogno invece che l’ombra di me stesso, ma resto chino e curvato. Lo sguardo lucido a cercare nella mia mente confusa un significato a quel che ho vissuto e a quel che sento. Molte volte, a quel che vedo.
    “E’ da più di un anno che mi risveglio in luoghi che non ricordo di aver visitato.” Le spiego con voce roca, sottile, quasi le stessi confidando un segreto. E’ come se lo fosse. Non ho mai parlato a nessuno di tutto questo, di quel che vivo. Farlo con lei, non mi fa sentire meglio. Sento solo di aver perso del tutto il controllo sulla mia vita.
    “Le ho provate tutte, ma la notte succede qualcosa che non comprendo.” La guardo, cercando nei suoi occhi la risposta che mi dice di avere, non so neanche come. Immagino la situazione deve essere peggiore di quel che sembra. Tutto quello che credevo succedere solo nella mia testa, deve aver oltrepassato confini inimmaginabili per arrivare fino a lei e a chissà chi altro. “Credevo di essere semplicemente sonnambulo ma col tempo ho cominciato a ricordare cose che sono sicuro di non aver deciso io di fare.” Volti che credevo di aver solo sognato ma che col tempo capivo di aver visto sul serio. Luoghi immaginati che avevo visitato sul serio. Non fidarsi del mondo è dura. Perdere la fiducia in se stessi, è terribile.
    “E poi ha cominciato a confondersi ogni ricordo, ogni pensiero. Come se ci fosse una voce diversa nella mia testa che mi spinge a perdermi e quando provo a combatterla, succede....” Indico il disastro che mi circonda. La lotta che ho dentro si è riversata fuori, rendendo la stanza un campo di battaglia perfettamente speculare a quel che mi porto dentro.
    I miei occhi lucidi incontrano i suoi, supplicandola di darmi la risposta che ho disperatamente ricercato in questi mesi. Chiedendola di salvarmi dall’oblio che provo. “Sono stato imperiato, non è così?”




     
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    “Ci credi sul serio?” Tengo que creer. Iago non la stava guardando, ma Pilar non poteva arrendersi a quello sguardo perso e stanco che chiedeva di essere lasciato andare. Non sarebbe tornata senza di lui, non avrebbe lasciato quel luogo se al suo seguito non ci fosse stato Iago.
    Aggrottò le sopracciglia, senza rabbia, in quel modo che era compassione sincera e preoccupazione, mentre gli occhi ricercavano sempre quelli di suo fratello, che però restavano sfuggenti ed agitati. Capì che chiedergli ancora di respirare non avrebbe funzionato, eppure Iago doveva essersi calmato abbastanza, perchè cominciò a parlare. “E’ da più di un anno che mi risveglio in luoghi che non ricordo di aver visitato.” Ascoltando quelle parole, Pilar ebbe difficoltà a continuare a sostenere lo sguardo di Iago, che a tratti s'era posato nei suoi occhi.
    Lasciò andare il viso di suo fratello e, quasi senza accorgersene, si ritrovò ad incrociare le braccia al petto. E mentre Iago continuava a parlare, esternando finalmente qualcosa che si portava dentro da troppo tempo e che nessuno di loro era stato capace di vedere realmente fino a quel momento, Pilar si chiese quali sarebbero state le parole giuste per dirgli che non era pazzo, che ciò che stava passando non era semplicemente un brutto scherzo della sua testa, ma che quello che gli stava accadendo aveva un nome. Ander.
    “Sono stato imperiato, non è così?” Lo sguardo di Iago gli parve ancora più inquieto quando le fece quella semplice domanda. Pilar lo guardò negli occhi, accogliendo lo sguardo di preghiera di suo fratello, il quale era arrivato a quella che doveva essergli sembrata l'unica possibile spiegazione, alla fine. Pilar restò a guardarlo, occhi dentro occhi per un istante che sembrò troppo lungo, poi chiuse gli occhi e sospirò. “No Iago...” Con un movimento fluido, si lasciò sedere accanto a lui, la schiena contro la parete. “Es màs complicado que eso.” aggiunse passandosi le mani sul volto e portandosi i capelli dietro le orecchie. Si prese un attimo prima di parlare. Cercò la mano di Iago e la strinse nella sua, poi voltandosi verso di lui iniziò: “ Dopo ciò che è successo a Neli, Rami e Ana...”, tenne basso lo sguardo, concentrandosi sulla mano che stringeva quella di Iago. Non ne parlavano mai, probabilmente non ne avevano mai parlato abbastanza. Di Neli, Rami ed Ana... di ciò che era successo dopo, di quello che era legittimo provare e di quanto avrebbe fatto bene a tutti loro mandare il contegno a quel paese. Pilar l'aveva fatto, mandare il contegno a farsi un bel giro lontana da lei, ma lo aveva fatto da sola e... non aveva davvero lenito il proprio dolore. Quando tutto iniziò ad incrinarsi, fino a rompersi, non avevano fatto nulla per tenersi stretti... si erano lasciati andare alla deriva, ognuno guidato dal proprio male... Tirò su col naso, “Il dolore che sentivi era così forte che ti avrebbe distrutto. Ma qualcosa non lo ha permesso, qualcosa ha deciso che quel dolore, invece, avrebbe distrutto coloro i quali l'avevano causato, perchè era il solo modo per sopravvivere.” non le fu difficile ricordare le parole di Josè, nonostante fossero passati diversi mesi da quella sua visita inaspettata. Sarebbe stato impossibile dimenticarle, nonostante la frenesia degli ultimi avvenimenti, le liti ed i silenzi ostinati. Chiuse di nuovo gli occhi e strinse forte la presa sulla mano di Iago, e quando tornò a parlare, la sua voce restò ferma, nonostante l'urgenza del suo tono: “Iago, necesito que te calmes, que te quedes conmigo ahora, ¿vale?” quell'ultima domanda ebbe bisogno del sostegno del proprio sguardo. Scrutò con gli occhi scuri, quelli altrettanto scuri di suo fratello e ne cercò la presenza, prima anche che l'assenso. Solo quando le parve di scorgerne abbastanza, andò avanti. “Quel dolore non ti ha distrutto, ma ti ha spaccato. Spaccato in due e quella voce che senti... è la voce di quella parte di te che ha deciso di vendicare i tuoi cari e... in qualche modo che non comprendo, proteggere te da tutto quel dolore.” Non staccò lo sguardo da quello di Iago per tutto il tempo che servì a quelle parole. E nemmeno dopo, continuando a ricercare la presenza di Iago, trattendendola laddove le pareva di vederla brillare fioca. Lo sguardo le si indurì al pensiero che qualcun altro, dietro quegli occhi potesse aver ascoltato le sue parole e le venne dolorosamente naturale pensare con veemenza: Ander, si me oyes, no te queda tiempo., guardando ancora negli occhi suo fratello.






     
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    [Iago]
    Quello che dice non ha alcun senso per me. Non dovrebbe averne per nessuno.
    Non ha senso il modo in cui mi si avvicina, mi guarda, mi tende la mano per proteggermi da un pericolo che poi sarei io. Io, che ho sempre creduto di dover fare del mio meglio per proteggere la mia famiglia, io che ho votato la mia vita al bene, sono io il male da combattere? Un pericolo da cui riguardarsi in questo modo?
    Scuoto il capo distogliendo lo sguardo. Sono frastornato e confuso. Mi sembra di essere precipitato in uno di quei sogni senza senso, in cui ogni azione è scollegata dal resto, ed ogni tentativo di risveglio appare inutile. Sono bloccato in una realtà senza sbocchi che mi fa sentire in trappola. Afflitto.
    “Pì.” Lo sguardo chino, cerca sul pavimento risposte a domande che non hanno senso. Ogni scenario in risposta sembra il peggiore degli incubi da cui quotidianamente negli ultimi anni sto provando a scappare. Dov’è che mi hanno condotto le mie fughe? I miei finti “sto bene”? Mi sono costruito una prigione di bugie. Ho sul serio lasciato che qualcun altro prendesse le redini della mia vita senza che me ne rendessi conto? O fingendo di non farlo. “Quello che dici non ha senso.” Il mio sguardo lucido torna a cercare conforto nel suo. Le mie parole non sono sicure. Non lo è la mia convinzione.
    E poi eccola di nuovo quella sensazione di pericolo imminente, di vuoto nel petto e cuore nelle orecchie. Una sensazione che mi assale senza preavviso e che mi spinge a cercare spazio, a mettere distanza tra me e lei, tra me e il mondo, nel vano tentativo di tornare a respirare.
    Gattono fino allo specchio rotto dinanzi cui mi siedo, dando la schiena a mia sorella. Spalle basse, volto stanco. Non c’è niente di quel riflesso che somigli al ricordo che ho di me stesso, alla figura sbiadita che un tempo avrei associato al mio nome.
    Lascio che le parole di Pilar risuonino nella mia testa, cercando di dare loro un senso. Leggo sottesi rimasti taciuti, parti di storie non raccontate che in fondo mi sembra di conoscere.
    “La vendetta di cui parli, suona come una condanna per me. Di quanti crimini si è macchiato vestendo i miei panni?” Cerco lo sguardo di Pilar nello specchio rotto che ho dinanzi. La frattura di cui parla deve avermi condotto a gesti che da solo non avrei commesso, ma che in fondo erano insiti nel mio inconscio. Non essere cosciente delle azioni che compivo, mi rende sul serio meno colpevole? Se l’altra parte di me, qualora fosse vero, avesse semplicemente avuto il coraggio di agire nel mondo in cui io non sarei mai riuscito a fare, esaudendo desideri reconditi, non sarei comunque complice delle azioni che intristiscono tanto Pilar?
    “Quali sono le mie colpe?” Mie, perchè lo sono. Il senso di colpa è l’unico sentimento che sono capace di indossare. Sarà che sono assuefatto al dolore che mi provoca. “E soprattutto, come l’hai scoperto? Hai parlato con lui?”



     
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    Il volto sconvolto di Iago le fece male. Quante volte ancora doveva vedersi la vita sconvolta a quel modo? Quante volte ancora avrebbe dovuto cadere e rialzarsi? “Iago, por favor...” sussurrò in risposta al suo rifiuto, senza biasimarlo. Come avrebbe potuto? Probabilmente nemmeno lei avrebbe potuto credere a quelle parole, eppure non ne aveva dubitato quando a pronunciarle era stato l'altro suo fratello. Il traditore. Perchè? Perchè Pilar aveva notato qualcosa in Iago che non andava, ma era stata così stupida e superficiale da non dargli peso, da giustificare quei comportamenti perchè ciò che suo fratello Iago aveva dovuto affrontare era troppo più grande di qualsiasi altro dolore. Si era comportata esattamente come il Generale...
    “Io... yo no lo sè. Non so quanti crimini abbia commesso... So che il suo nome è Ander e che tutto ciò che fa, non lo fa perchè votato al male.” prese a rispondere alle sue domande, conscia di non potergli dare le risposte che voleva. Sospirò, “Però è fin troppo chiaro che per lui il fine giustifichi i mezzi. Qualsiasi essi siano.” Ma la situazione sta diventando più grave. Ander prende sempre più facilmente il controllo… chiuse gli occhi ripensando alle parole di Josè.
    "Di quanti crimini si è macchiato vestendo i miei panni. Quali sono le mie colpe?” Pilar scosse il capo con forza, mentre sentiva gli occhi farsi lucidi. No. Iago non si sarebbe caricato addosso anche quel peso. Gli si avvicinò, “Tú no eres responsable de esto... de ninguna manera, forma o modo, ¿correcto? Non eri in te. Non lo sei quando c'è lui. Non esiste cosa che lui abbia commesso che sia colpa tua, Iago. Esta claro?” gli disse con forza, cercando il suo sguardo.
    Tump.
    Quella domanda la colse impreparata. Que tonta Pi. ¿No se lo esperaba? ¿En serio? Scacciò via quella voce nella sua testa, mentre cercava di pensare. Cosa rispondere? Si morse l'interno della guancia, consapevole che c'era solo una risposta. Una soltanto.
    “Si te digo algo, ¿no te enojaras?” quella domanda sembrò arrivare da un tempo lontano. Molto lontano. Risuonò fra le pareti di quell'edificio abbandonato, con lo stesso tono di quando Pilar era bambina e ripeteva quella domanda ogni volta che sapeva di averne combinata una delle sue. Testimoni sua madre, suo padre ed anche i suoi fratelli. Entrambi, complici più che giudici delle sue marachelle. Tante volte aveva rivolto quella richiesta, quello scambio di una reazione pacata per la verità a Iago, il suo hermanito major... Chissà se adesso avrebbe mantenuto la promessa come aveva fatto tante volte. Dentro di sé Pilar sentiva che quella speranza vana e stupida, assurda, ma sapeva anche che non era più il tempo delle omissioni. Non più, non con Iago, che aveva visto troppe volte il suo modo andare in pezzi.
    Pilar chinò lo sguardo, incapace di sostenere quello del fratello, e prese un respiro profondo. “A pesar de lo que puedan pensar... él no es solo un traidor.” pronunciate quelle parole, Pilar trovò la forza di rialzare lo sguardo per puntarlo nuovamente in quello di Iago, col filtro dello specchio. Assunse un'espressione decisa, che non tradì del tutto la dolcezza e la premura di poco prima, ma voleva semplicemente che Iago capisse quanto salde fossero le sue convinzioni, non soltanto le fantasie di una bambina testarda che voleva vedere il buono dove non c'era. Perchè, riguardo Josè, era questo che era per lui e loro padre. Una sciocca sentimentale. “Escùchame Iago.” “Ha lasciato l'Europa ed è venuto fino a Washington, consapevole che avrebbe potuto essere sbattuto ad Arcane se l'avessero scoperto, solo per venire a dirmi di te! Affinchè io potessi aiutarti! ” il silenzio di Iago non prometteva nulla di buono, per questo Pilar cercò immediatamente di spiegargli come erano andate le cose, sperando che il gesto di Josè non fosse frainteso, che Iago potesse vedere la verità di quell'azione – seppur unica, anche se Pilar sapeva che così non era- la sincerità con cui aveva rischiato tutto solo per aiutarli. “Me podría herir, pero no lo hizo.” aggiunse,posandogli una mano sulla spalle, in cerca di un contatto che potesse metter fine al silenzio e che potesse riportare Iago da lei, in quella stanza.


     
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