blood ties

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    [Iago]
    Non so se esiste una legge cosmica secondo cui se le cose vanno male, è naturale vadano peggio. Sarà che quando resti bloccato in una condizione di disagio, diventa più facile vedere tutto nero. O forse è proprio come immagino, e la malasuerte tende ad accanirsi contro chi sta già patendo il male. Ho immaginato avesse a che fare con quel percorso di crescita a cui la vita ci mette davanti, nel tentativo di farci evolvere, ma questa aspettativa non mi ha dato in alcun modo sollievo.
    Mi piacerebbe semplicemente poter chiudere gli occhi e riposarmi, senza incubi. Svegliarmi e ritrovarmi a vivere la vita di sempre, con le piccole risolvibili rogne del quotidiano, piuttosto che una lunga serie di sventure da cui uscirne indenni sembra impossibile.
    L’ennesima sfortuna è capitata a Pilar, e la disgrazia che l’ha coinvolta mi ha ferito di rimando. Avrei voluto essere capace di fare altro, o semplicemente qualcosa, per lei, ma non ho potuto. Il senso di colpa mi divora ogni giorno, insieme al dispiacere nel saperla distrutta da una punizione così assurda ed ingiusta e a nulla è servito provare a parlarne col generale, che ha in tutta risposta messo a tacere ogni mio tentativo di replica o di comunicazione. Non ne sono stato sorpreso, ovvio, ma questo non mi ha fatto desistere.
    Non è solo un egoistico bisogno di tenermi impegnato, ma la necessità di salvare Pilar da qualunque percorso autodistruttivo e punitivo abbia deciso di mettere in atto. Perchè sì, la conosco e so che le sue sparizioni non hanno nulla a che vedere con lunghe giornate di riposo.
    Ho rubato la bussola di famiglia dall’ufficio del generale. L’incanto di cui è soggetta, riuscirà a condurmi da ciò, o chi, ho bisogno di trovare adesso, basterà avere semplicemente un po’ di pazienza, e a me non resta altro.
    Così, dopo alcuni tentativi andati a male, raggiungo un motel in una landa sperduta del Texas. Il posto decisamente meno indicato e meno sicuro per Pilar in questo momento. L’oste alla reception è troppo impegnato ad accogliere le attenzioni di una donna poco incline alle norme del pudore, e questo mi concede di fare il mio ingresso all’interno della struttura in maniera indisturbata.
    Seguo le indicazioni della bussola, fino ad una porta in legno dall’aspetto non proprio robusto. Mi fermo, respiro, e poi mi decido a fare la mia mossa. Un colpo leggero mentre avvicino il volto alla porta.
    “Pilar.” E’ un sussurro il mio, mentre con l’orecchio teso aspetto di captare qualsiasi rumore. Nessuna risposta ma la bussola continua a segnalare qui la sua presenza. Busso ancora. “So che ci sei.” Potrei andarmene, lasciarla alla sua privacy, ma non posso farlo senza prima averle parlato e vista soprattutto. Ho bisogno di assicurarmi che stia bene, che sia viva. Ho bisogno di sapere che non stia facendo stupidaggini di cui potrebbe pentirsi. Quando si soffre, non è così difficile cadere in errori simili. “Al mio tre apro la porta, va bene? Voglio solo assicurarmi tu stia bene.” Ripongo la bussola nella tasca, prima di poggiare la mano sulla maniglia. La spalla è pronta a forzare la porta in legno. “Uno, d… oh Merlino.” Mi poggio appena alla porta, quando questa si spalanca e la maniglia si stacca dalla sua serratura. Finisco steso di lato sul pavimento, dinanzi al letto che accoglie Pilar ed un’altra donna, in condizioni particolari. “Non ho visto niente, non ho visto niente.” Mi sbrigo ad alzarmi, richiudendo la porta affinchè nessun altro possa vedermi. Con il volto coperto dalle mani, una delle quali regge ancora la maniglia, mi volto verso mia sorella. “Scusami, pensavo la porta fosse più stabile.”


     
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    SBUSH! Pilar si mosse fra le lenzuola, corrugando la fronte. Infastidita. Quel suono... quel suono le ricordava qualcosa, qualcosa di scomodo. Più scomodo di un sassolino nella scarpa. SBUSH Ancora. Sentì qualcuno muoverlesi accanto. Sbush!, ancora quel maledetto rumore che aveva il ricordo dell'urgenza.“Pilar.” Qualcuno la cercava... “Sarah...” Chi era Sarah adesso? “So che ci sei.” La voce di un uomo, diversa da quella che la chiamò nuovamente.“... Sarah c'è qualcuno!” Pilar si sentì scuotere per una spalla, la voce allarmata della persona con cui aveva trascorso la notte “SBUSH! "Cervantes!" Quel maledetto suono! Ricordò tutt'un tratto il panico di quella maledetta notte. La paura. Riconobbe la paura nella voce della donna accanto a sé, nell'urgenza con cui la stava scuotendo per svegliarla. Accadde tutto troppo velocemente. "SOPH!” “Al mio tre apro la porta, va bene? Voglio solo assicurarmi tu stia bene.” “PILAR!" Riuscirono presto a bloccarla “Cristo Sarah! SVEGLIATI!” La scosse con più forza. Pilar scattò, allarmata e confusa. Nella sua testa s'erano frapposte voci ed immagini. C'era un'assonanza assordante in ciò che stava succedendo, anche se il mal di testa per le troppe birre della sera prima non le permetteva di collegare rapidamente i fatti. Era lo stomaco a farlo per lei, una sensazione di stretta e di angoscia. “Cosa diavolo...” biascicò, portandosi i capelli via dal volto e cercando di abituare gli occhi alla luce che filtrava dalle tende consunte alle finestre. “Uno, d… oh Merlino.” “AAAAAH!” Si portò e mani alla testa, cercando di riparare le orecchie dal frastuono della porta che si schiantò per terra e dal grido lanciato dalla donna accanto a lei, immobilizzata dalla paura. Le ci volle qualche secondo per riconoscere la persona che, in terra assieme alla porta, si stava rimettendo in piedi. Iago. Suo fratello. Uno, dei suo fratelli. “Non ho visto niente, non ho visto niente.” Lo sentì farfugliare mentre tirava su la porta, si portava le mani per coprirsi gli occhi... “Joder...” imprecò roteando gli occhi. Si chiese come potesse essere possibile che un uomo adulto, che aveva visto davanti ai suoi occhi commettere l'atrocità più efferata che la vita potesse mostrargli, s'imbarazzasse alla vista di due donne nude nelle stesso letto? E si rispose che non aveva davvero più la pazienza di sprecare tempo per queste stronzate.
    “Scusami, pensavo la porta fosse più stabile.” “Era chiusa, Iago.” rispose dura, passandosi una mano sul volto stanco, cercando di ritrovarsi nella confusione della sua testa, degli spazi e del tempo che si accavallavano lasciandola ancora spaesata. “Questo doveva bastarti.” aggiunse togliendosi di dosso le lenzuola e alzandosi. Non si curò della propria nudità, e andò verso la donna che l'aveva chiamata col nome di Sarah. Perchè era quello il nome con il quale si era presentata la sera prima... “Ehi, tranquilla...” - disse dolcemente, cercando di essere più rassicurante possibile - “Ascoltami, è mio fratello. Non ci denuncerà.” le accarezzò le spalle sorridendole. Le raccolse i vesti da terra. La ragazza continuava a guardarla con espressione impaurita, gli occhi che continuavano a scattare verso Iago, che se ne stava lì impalato e che davvero non avrebbe potuto fare meno paura. Pilar le indicò il bagno e le sussurrò qualcosa rispetto ad una finestra abbastanza grande e posizionata non troppo in alto. Accolse, nel proprio, il suo sguardo spaurito. Sembrava quasi chiederle il perchè lei si trattenesse... Ay, la familia... Sorrise carezzandole la guancia e rubandole un ultimo bacio, prima di guardarla sparire nel piccolo abitacolo.
    Si girò di nuovo a guardare suo fratello e la sua espressione tornò a farsi dura. “Non osare irrompere così mai più! ”esclamò senza nascondere la sua rabbia per il modo con cui suo fratello aveva scelto di preoccuparsi per lei. Un modo che non poteva più tollerare. “¡Y aparta tus manos de tu rostro, Dios!” sbottò agitando il braccio in un gesto spazientito, lasciandosi ricadere a sedere sul letto disfatto. “Cosa vuoi?” gli chiese sospirando, mentre si passava nuovamente una mano fra i capelli per ricacciarli indietro.

    1- Porca puttana
    2- E togliti le mani dalla faccia, dio!


     
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    [Iago]Mi premuro di tenere gli occhi chiusi, nonostante siano comunque ben nascosti dalla mano che ho portato al volto. Ad imbarazzarmi non è la persona, o meglio il sesso della persona con cui ho trovato mia sorella, quanto le loro nudità. In realtà, non è nemmeno quello. E’ il contesto. E’ il momento - assolutamente sbagliato - in cui sono capitato. L’intrusione nella loro privacy, così delicata come tutto il contesto in cui siamo.
    “Sì, stia tranquilla signorina. Non ho visto niente.” Provo a rassicurare la ragazza riprendendo le parole di mia sorella. Non ho alcuna intenzione di denunciare nessuno, tanto meno mia sorella per colpe che non ha. Tutta questa situazione è già ridicola così senza che altri ci mettano il proprio zampino. Lo è tutta la faccenda che vede Pilar e la sua vita sentimentale come protagonista. E’ per questo che sono qui. Per aiutarla, e forse anche per il senso di colpa di cui non riesco a liberarmi.
    Mi tiro in piedi, togliendo la mano dal volto e puntando lo sguardo direttamente in quello di Pilar. Mi avvicino al letto e, afferrata una coperta, gliela porgo deciso. “Tu rivestiti.” Parlarle mentre se ne va in giro nuda, non è decisamente il caso.
    Sposto un po’ di coperte e vestiti dal materasso, valutando quanto in definitiva questa stanza non sia diversa dal casino che ho in casa in questo momento. Ed è anche per questo che sono qui. Anche se in misura e modo diverso, so cosa sta passando. So quanto terribile sia essere buttati via dalla propria vita, sputati fuori dal proprio equilibrio. So quanto sia destabilizzante continuare ad avanzare nel buio di un dramma inaspettato. Nella vita che continua senza più certezze. Ma lei ha me. Avrà sempre me, anche quando saremo lontani. Anche quando nel buio sarà difficile vederci. E sono qui per ricordarglielo.
    “Volevo vedere come stessi.” Le dico, alzando il capo per poter incontrare il suo sguardo. “Ero preoccupato.” Aggiungo poco dopo, rivelandole i miei sentimenti, un atto non così facile da fare per gli uomini Cervantes Murillo.
    Gratto un sopracciglio sospirando mentre riprendo a guardarmi intorno. La sua stanza è lo specchio del disastro che sta vivendo. Non la lascerò andare alla deriva. “No dejaria vivir aqui ni un raton.” Le dico, alzandomi per cercare una sacca da lanciarle, così che possa prendere le sue cose. “Quindi prendi le tue cose. Ti porto a casa.”





    Non farei vivere qui neanche un topo.
     
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    “Tu rivestiti.” Guardò suo fratello che le porgeva quel plaid con fare marziale, così come quel maldestro comando. Non seppe se ridere oppure lasciarsi innervosire ancora, così si limitò a roteare gli occhi, semplicemente infastidita ed annoiata da quel pudore che non le apparteneva e che voleva imporle.
    Si alzò nuovamente dal letto, conscia del fatto che non sarebbe tornata a dormire nel breve tempo, e si allungò a raccogliere una t-shirt grigia finita contro lo schienale dell'unica sedia presente nella stanza. La indossò senza preoccuparsi di modulare i suoi movimenti ai fini di mascherare il fastidio che sentiva prudere dentro. Ascoltò distrattamente il commento di Iago su quello che era di fatto diventato il suo alloggio provvisorio... Prima di quella stanza ce n'erano state altre, diverse eppure sempre uguali. Spartane, architettonicamente dubbie e discutibilmente pulite, ma ora Pilar non poteva sopportare il comfort di una casa vera. Una casa calda, con cuscini colorati sui divani, tappeti, e il profumo di anice stellato ed incenso... Un'atmosfera troppo morbida da tollerare. Tante lacrime da far male la testa e lo stomaco.
    “Quindi prendi le tue cose. Ti porto a casa.” Così la parola casa assunse tutto un altro senso, un altro colore. Pilar storse le labbra in un'espressione amara, “Casa?” chiese, con una nota stonata di ironia nella voce. Con un gesto tirò via dalla t-shirt i lunghi capelli neri e si girò verso Iago, guardandolo con durezza. Per un attimo le parve di vedere qualcun altro al posto di suo fratello, “Ni muerta llego con el General.” disse lapidaria. L'espressione ferma e dura di chi avrebbe lottato con le unghie e con i denti per restare ancorata alla propria decisione.
    “E poi è un po' tardi per preoccuparsi, hermano mayor.” Continuò dopo qualche istante avvicinandosi all'unica finestra della stanza, se non si contava quella del bagno. Pilar guardò fuori, scostando le tende. Il suo sguardo si perse nel buio della notte, seguendo il filo aggrovigliato dei propri pensieri, domandandosi quale avrebbe dovuto essere il momento giusto per preoccuparsi? Come avevano potuto non accorgersi dell'avvicinamento di Josè alle idee di Grinderwald? Come era potuto succedere sotto il loro naso? Perchè da quel momento il loro mondo aveva cominciato ad andare in pezzi. Inesorabilmente.
    “Com'è che mi dicevi? ” domandò di punto in bianco dopo qualche istante di silenzio, “La putada es que aun tienes que despertarte.” recitò con un sorriso amaro, incrociando le braccia al petto e tornando a girarsi vero Iago. Non lo guardò questa volta, concentrando la sua attenzione su un punto della moquette sotto i loro piedi. “É sempre una merda doversi svegliare, vero?” chiese, tirando su col naso. Cercando di fare appello a tutto il suo orgoglio, a tutto il suo controllo, per vietare alle lacrime di scendere lungo il viso.
    Troppo arrabbiata col mondo.
    Troppo esausta per poter sopportare ancora nausea e mal di testa.

     
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