Und die Vögel singen nicht mehr

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Junior Member

    Group
    Maghi
    Posts
    49
    Punti attività WWG
    +30

    Status
    GtNT9e9 Un gelo pungente, inspiegabile, angosciante, permeava l’aria che faticosamente si faceva strada nel respiro di Freya.
    Era come se l’atmosfera fosse annebbiata da una tristezza diffusa, che si insinuava nella pelle e da lì scavava il suo percorso fino ad arrivare alle ossa, dove attanagliava ogni movimento, rendendolo più difficoltoso.
    Non c’era modo di contrastarla, perché era ovunque.
    Anche il Patronus a forma di vipera, evocato dall’uomo che li accompagnava, sembrava avere poco potere in quel luogo così a lungo abitato dalle guardie carcerarie peggiori che potessero esistere.
    Cunicoli stretti, bui, umidi e freddi, si susseguivano in un labirinto di strade che portavano alle celle. Alcune erano scavate nella roccia della montagna e godevano a stento di una piccola feritoia, altre avevano sbarre spesse che permettevano il passaggio al massimo di una mano.
    Ma tutti e tutte sapevano benissimo che non erano barriere fisiche ad impedire ai detenuti i tentativi di evasione.
    La punizione sarebbe stata un destino più spietato della morte stessa, se avessero avuto la malsana idea di provarci.
    E quello era un deterrente notevole dal cercare modi per sfuggire al controllo di coloro che dominavano incontrastati quel luogo.
    Ma comunque, i condannati al carcere di Azkaban, vedevano la loro coscienza svanire lentamente e inesorabilmente sotto il costante lavoro dei Dissennatori.
    Capaci di drenare energia e ricordi felici dalle persone che trascorrevano troppo tempo in loro compagnia, erano sicuramente tra le creature più terribili del mondo magico.
    Inquietanti e spaventosi, nascosti sotto al loro mantello disfatto, erano capaci di insidiare il terrore nell’animo del più coraggioso e portare alla pazzia quello del più fragile.
    Ma chi aveva deciso di servirsi di loro per quello scopo, non era forse altrettanto condannabile?
    Eppure era una di quelle istituzioni scavate nella pietra, che sembravano ineluttabili.
    Il piede di Freya scivolò su un gradino più liscio degli altri e lei dovette sorreggersi con una mano alla gelida parete adiacente, per non cadere.
    -Si è fatta male, Procuratrice Schmid?- le chiese uno degli Auror che l’accompagnavano, un uomo dalla barba brizzolata e i capelli solitamente eleganti, adesso fiaccati dall’umidità malsana di quel luogo.
    -Silenzio! - sibilò il custode, voltando la faccia scavata e piantando gli occhi infossati e carichi d’odio su Freya. - Vi ho avvisati, non dovete permettere che i criminali vi sentano!-
    La tedesca alzò la mano in segno di scuse, poi rivolse un timido sorriso imbarazzato all’Auror che le aveva porto una mano per aiutarla. Accennò un cortese rifiuto e annuì per fargli capire che stava bene.
    Almeno fisicamente.
    Le motivazioni che l’avevano condotta alla prigione dei maghi, circondata dalle onde furiose del Mare del Nord quel giorno non erano sicuramente istituzionali.
    Per quanto fosse stata capace di convincere il Generale Cervantes Murillo, ancora convalescente, della necessità di interrogare il prigioniero che aveva scatenato il panico al Ministero francese con una frusta infuocata e che, quasi incredibilmente, era stato catturato, Freya non avrebbe potuto ingannare se stessa.
    L’uomo che si era trovata davanti non era un seguace qualunque.
    Colui che, aveva scoperto, si faceva chiamare Ymir, altri non era che il suo amato fratello maggiore, il cui vero nome era Aaron Schmid e che era stato creduto morto per due lunghissimi anni.
    Il Generale comunque aveva acconsentito, probabilmente sfinito dalla sua pressione, oltre che dalle ferite fisiche riportate, ma solo alla condizione che venisse accompagnata da due Auror del MACUSA, fedeli a lui.
    Freya aveva esitato, temendo che uno di questi potesse essere la figlia del Generale stesso, ma fortunatamente anche lei si stava ancora riprendendo dalle lesioni subite.
    E, almeno stavolta, questo l’aveva fermata.
    Proseguirono in rigido silenzio, ma ad ogni passo salivano verso le celle deputate ai maghi più pericolosi, il rombo del mare all’esterno si faceva distante e gli spilli di ghiaccio sul petto diventavano più dolorosi.
    Freya si ritrovò presto prigioniera di pensieri torbidi.
    Aveva composto una rosa di motivazioni possibili e verosimili per la presenza di Aaron al Ministero in qualità di seguace. Il primo, e che sembrava anche il più plausibile, era che fosse sotto effetto della maledizione Imperius.
    Ma ora che si avvicinava il momento di incontrarlo e che la presenza dei Dissennatori era più stringente, quell’ipotesi sembrava sempre meno probabile.
    La crudeltà che aveva letto nei suoi occhi e avvertito nel tono della sua voce era stata reale, non l’effetto di un comando distante. Quanto poteva influire l’Imperio sul carattere mostrato da una persona?
    Ma quello non era suo fratello.
    Non era possibile.
    Suo fratello era una persona buona, accogliente, magari un po’ frustrato da una vita limitata e non avventurosa, ma il passaggio alla cerchia di Grindelwald sarebbe stato troppo estremo per lui.
    Freya lo conosceva da quando era nata.
    Lui era stato il primo con cui avesse condiviso i giochi o con cui avesse cercato di scappare alle cene di famiglia, a lui aveva dedicato i primi sorrisi e le prime sfuriate di rabbia.
    Lui era stato al suo fianco in ogni momento della sua vita, sia quelli significativi, che quelli banali della quotidianità.
    Era stato il suo alleato e il suo migliore amico. Era stato il suo compagno di esperimenti e di insuccessi.
    Lei lo conosceva davvero.
    Davvero?
    Man mano che i suoi passi la guidavano verso di lui, su quelle pietre insidiose, ne era sempre meno convinta.
    Come era finito nella prigione peggiore del Mondo Magico?
    Il custode si arrestò e voltò la faccia da scheletro di nuovo nella loro direzione, con un sorriso ghignate ed estremamente poco rassicurante.
    -La cella è quella, signorina, veda di non ascoltare troppo il prigioniero, gli altri che hanno provato a tirargli fuori qualcosa, non sono stati molto fortunati. E soprattutto, tenga la bacchetta lontano dalla sua portata, il fatto che siate americani non giustifica l’eccezione ingiustificata che hanno compiuto per voi. Cercate di non farcene pentire.-
    Freya ignorò quel “signorina” incurante del suo ruolo, volto solo a sminuirla. Ne era fin troppo abituata. Ed evitò di rispondere alle insinuazioni inerenti ad un trattamento privilegiato per la delegazione del MACUSA, rispetto alle regole comunemente vigenti nella prigione.
    Il Generale non aveva voluto cedere su quel punto, sarebbero entrati e sarebbero entrati capaci di proteggersi, quindi aveva smosso con il suo potere qualsiasi ufficio inglese per ottenere quell’autorizzazione.
    Trasse un profondo respiro e si mosse decisa verso la direzione indicata dalla mano ossuta dell’uomo.
    Davanti a lei si estendeva un corridoio più largo, la parete sinistra del quale era costituita da sbarre strette, intervallate da colonne di pietra a divisione delle celle.
    Erano singole, le avevano spiegato, dedicate ai criminali più temibili, come quelli che avevano commesso crimini internazionali o si erano macchiati dell’utilizzo di maledizioni senza perdono.
    A metà del corridoio poteva intravedere una finestra che lo interrompeva e che dava sul tempestoso mare nel quale si ergeva la fortezza. Alcuni Dissennatori pattugliavano quella zona, facendo scivolare le estremità a brandelli dei loro mantelli sul pavimento ricoperto di una brina leggera.
    La sensazione di gelo attorno alla sua gola si accentuò ma Freya si avvicinò alla vipera Patronus per un attimo, il tempo di evocare la sua fedele aquila.
    Un calore inusuale, che non ricordava di aver mai provato da quando era entrata in quel luogo, la raggiunse quando la protezione le fu in prossimità, permettendole di avere accesso alla memoria di cui aveva bisogno.
    Estrasse la sua bacchetta (il custode schioccò la lingua in segno di disappunto) e si lasciò permeare dal ricordo che usava sempre in queste situazioni. Lavorando con i criminali si era già trovata a dover sperimentare l’effetto dei Dissennatori e sapeva bene che affidarsi alla sua forza d’animo non sarebbe bastato.
    Rivide sua nonna che la osservava il giorno del suo Diploma, si concentrò sul suo sguardo fiero e sulla sua voce calda, mentre le diceva “Ben fatto, kleine blondine” e la stringeva a sé in quel modo personale che Freya concedeva solo a lei.
    Sua nonna era una donna ebrea con i tipici tratti somatici scolpiti nella pietra, i capelli scuri e il naso pronunciato. Non aveva mai capito la scelta della madre di Freya, sua figlia, di sposare un tedesco alto e biondo, e aveva sempre scherzato con la nipote chiamandola affettuosamente “biondina”.
    Sua nonna era stata la sua mentore, fino al momento in cui, pochi mesi dopo quel giorno, non era morta, uccisa da un gruppo di ragazzi babbani antisemiti che l’avevano aggredita nel suo negozio e presa a calci fino a toglierle la vita.
    Freya non aveva mai capito perché sua nonna non si fosse difesa o non avesse cercato di raggiungere la bacchetta, lasciando lei senza una guida salda.
    Ma nonostante la tragedia che gliel’aveva strappata, Freya si era aggrappata ferocemente, come solo lei sapeva fare, al ricordo dell’orgoglio che sua nonna aveva dimostrato di provare per lei.
    E quel giorno, mentre si preparava ad incontrare Aaron, e agitava la bacchetta scandendo -Expecto Patronum!- sua nonna era con lei.
    L’aquila si librò dalla punta della bacchetta, seguita da un fascio di luce, e si voltò ad osservare Freya con espressione decisa.
    La Schmid annuì e si allontanò dal gruppo che l’aveva condotta fino a lì. Aveva richiesto di parlare con il prigioniero da sola, per cercare di irretirlo con la diplomazia. E il Generale, ignaro della relazione tra i due, ma ben consapevole delle capacità di Freya, aveva dato il suo benestare.
    I passi che la separavano dalla cella le sembrarono infiniti.
    Il ghiaccio scricchiolava sotto i suoi stivali e i Dissennatori a guardia di quel corridoio si voltarono verso di lei, interessati all’energia che emanava dal suo Patronus.
    Un soffio di vento gelido la raggiunse e lei si strinse ancora di più nel suo cappotto invernale, cercando di procedere salda.
    Ad ogni passo che compiva verso suo fratello, Freya sentiva che il suo cuore rischiava di vacillare.
    Ma sapeva anche che non poteva permetterselo. I sentimentalismi e le emozioni che la rendevano fragile dovevano essere accantonati. Relegati nel suo cuore di ghiaccio. Non c’era niente che sapesse fare meglio.
    Era impietosa e implacabile, sapeva bene che quella era la sua forza, ciò che la rendeva inarrivabile.
    Si nascose dietro la maschera che metteva durante gli interrogatori e si celò forzatamente dietro un aspetto imperturbabile. Quello di un’aquila che si lanci sulla sua preda.
    Le pareti umide alla sua sinistra si interruppero, per lasciare il passo allo spazio delimitato solo da sbarre strette, che formavano la parete esterna della cella di suo fratello.
    Gli occhi di Freya fecero fatica ad abituarsi al buio che vi si era addensato dentro. Ma sapeva che lui era lì.
    Si avvicinò di qualche passo, ignorando i Dissennatori che si erano avvicinati, come a volerla avvertire di retrocedere.
    Lanciò un’occhiata alla piccola delegazione del MACUSA, che la sorvegliava ma che era troppo lontana per poter udire le sue parole.
    Poi tornò a puntare i suoi occhi insensibili verso l’interno della cella.
    -Aaron.-
    La mano attorno alla bacchetta ebbe uno spasmo mentre pronunciava quel nome, ma la voce non tremò.
    -Si può sapere cosa, per Merlino, stai facendo?-
    Si rivolse a lui in tedesco, perché non aveva senso parlare in inglese, anche se sapeva che, se l’avessero sentita gli Auror, avrebbe dovuto dare alcune spiegazioni.
    Puntò i piedi, entrambi in direzione delle sbarre, e cercò di scandagliare l’oscurità per vederlo.
    Sul suo volto era scolpita un’espressione ferrea, come quando pretendeva rispetto durante i loro giochi da bambini, ma temprata dalla sofferenza che aveva attraversato dopo la sua scomparsa.
    -Pretendo una spiegazione e mi auguro che sia convincente.-
     
    Top
    .
  2.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Junior Member

    Group
    Seguaci
    Posts
    16
    Punti attività WWG
    +11

    Status
    tumblr_mh2imvDnJO1s2zwq4o1_500
    Andare in missione, richiedeva la possibilità di non ritornarne vivi. Ymir, come gli altri seguaci, era ben conscio del rischio di finire male in uno scontro, ma il timore non lo frenava. Era la volontà di portare avanti un’idea in cui credeva, e al contempo il desiderio di essere visto da tutti come il migliore, ad alimentare ogni suo azzardo, ogni suo eccesso.
    Era conscio che comunque sarebbe andata, sarebbe stato un successo, ed il loro - il suo - in effetti lo era stato. Tra quelle mura c’erano molti dei suoi alleati ma non coloro per cui tutto quello era stato messo su, i due Cervantes. Ciò presupponeva, alla fine dei conti, una vittoria per loro e tanto bastava a rasserenare l’animo di Ymir che si sentiva in ogni caso vincitore. Per questo, nonostante la pesantezza data dalla costante presenza dei dissennatori, conservava un briciolo di tranquillità. In qualche modo Grindelwald li avrebbe tirati fuori, a lui e ai suoi compagni alleati, non spettava altro che avere pazienza. E ne avrebbe avuta. Anche in quello si sarebbe adoperato a mostrarsi il migliore. Un fedele seguace.
    Niente era uscito dalla sua bocca nonostante i vari interrogatori, nemmeno le torture avevano potuto nulla contro la sua volontà. Così, stanchi persino i carcerieri, era stato dimenticato nella sua cella ad una condizione di semi degrado. Le pareti fredde e umide della cella in cui erano, avrebbero dovuto spingerlo alla supplica, ma Ymir aveva resistito.
    Aveva affrontato il freddo e la fame, cantando di notte canzoni che avevano avuto l’effetto di tormentare i suoi carcerieri, procurandogli soddisfazione ed ilarità.
    Quel giorno era l’ennesimo di tanti altri uguali. Non si chiedeva quanti ne fossero passati e quanti ancora ne sarebbero trascorsi. Quando però quel giorno intuì che una nuova visita fosse stata disposta per lui, nel suo petto angustiato dalla cupezza dei dissennatori, si animò una fiamma di speranza.
    Si avvicinò alle sbarre, stringendo le mani sulle fredde assi in metallo, spingendo il volto tra di essi per scorgere la figura eterea che si avvicinava oltre la luce angelica evocata.
    Un sorriso piegò le sue labbra aride e spaccate, spiccando su quel volto appuntito e sporco.
    Freya.
    Vederla illuminò il suo sguardo, appiccando in lui un fuoco di speranza. Aveva ormai imparato a credere che niente accadesse per caso. La sua presenza lì, poteva quindi essere il suo modo per uscire da quell’inferno. Avrebbe fatto in modo che lo fosse.
    - E’ dai morti che pretendi una spiegazione, sorellina? - Un modo veloce e sarcastico di presentare il nuovo sè. Aaron era morto da tempo ormai. Dinanzi a lei aveva una nuova persona sebbene aventi le stesse sembianze.
    - Ma guardati. Sei una donna adesso.- La guardò a lungo prima di pronunciare quelle parole. Un sorriso soddisfatto sul suo volto. Erano da parti opposte di una barricata, ma non avrebbe potuto nascondere la sua soddisfazione nel saperla viva. La vita li aveva aggrediti con ferocia, ma loro ne erano usciti vincitori. Di quelli avrebbero potuto comunque godere insieme. Di sicuro avevano molto in comune.
    - Cosa pretendi di sapere, nel dettaglio? E come cambierebbe questa situazione? - Una domanda lecita. Conoscere i dettagli del suo cambiamento, in quel momento, non gli avrebbe giovato. Cercare un modo per salvaguardarsi era la scelta più saggia che potesse richiedere. - Io resterò dietro le sbarre, e tu te ne tornerai oltreoceano. - Perchè lo sapeva. Come sapeva per merito di chi aveva oltrepassato l’Atlantico. Conosceva il nome della famiglia a cui si affiancava, e aveva reso solo le cose più divertenti. Più reali. In qualche modo tutto era connesso. Grindelwald lo sapeva e presto lo avrebbero capito tutti. - Quindi se è la mia verità quella che vuoi, dammi qualcosa per cui valga la pena rischiare. - Piegò le labbra verso l’alto, allungando una mano nel tentativo di accarezzare quella dell’altra. - Oh mein anwalt. -





    Oh mio avvocato
     
    Top
    .
  3.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Junior Member

    Group
    Maghi
    Posts
    49
    Punti attività WWG
    +30

    Status
    GtNT9e9Quando i suoi occhi grigi si abituarono all’oscurità angosciante che la circondava, Freya distinse i tratti di un volto, che si sporgeva tra le sbarre.
    Un volto che un tempo era stato familiare e quotidiano come svegliarsi la mattina e fare colazione con la marmellata di mele.
    Come le passeggiate nella foresta non lontano dalla loro casa di campagna, alla ricerca di creature magiche che poi, alla fine, trovavano molto raramente.
    Come i sorrisi sarcastici da una parte all’altra della stanza, durante le cene con i parenti e le preghiere in una lingua che nessuno dei due capiva davvero.
    Ma nonostante le fattezze le ricordassero quelle di suo fratello, Freya non vedeva nei suoi occhi o nel suo ghigno perfido, niente che fosse appartenuto ad Aaron.
    Gli anni passati dal loro ultimo incontro, da quando era stato strappato brutalmente alla loro famiglia e loro lo avevano creduto morto, avevano distorto le sue espressioni e le linee che gli contornavano la bocca e gli occhi, rendendolo quasi irriconoscibile.
    Freya aveva scoperto che era stato arrestato come seguace di Grindelwald e che non era stato rilevato alcun effetto della Maledizione Imperius nel suo atteggiamento, all’arrivo ad Azkaban.
    Ma la Schmid aveva bisogno di vederlo con i suoi occhi. Di constatare che il fratello che aveva creduto morto, che aveva pianto nelle lunghe notti trascorse in terra straniera, per il quale aveva covato un rancore bruciante nei confronti dei genitori, era in realtà vivo, ma il suo animo era degenerato in una follia criminale che lo aveva portato ad attaccare il Ministero della Magia francese.
    Cosa gli aveva promesso Grindelwald?
    Perché lui ci aveva creduto?
    Perché era stato così sciocco da venire blandito dalle vane parole di un mago che non aveva fatto altro che creare distruzione?
    Quando Aaron parlò, la sua voce la colpì come una freccia avvelenata.
    Era roca, dato che probabilmente era trascorso molto tempo dall’ultima volta che aveva parlato, e vuota, come se l’entusiasmo che lo animava fosse solo legato alla perfidia che poteva esercitare. E che, in quel contesto gli veniva negata.
    In ogni caso, non era la voce di suo fratello, quella che l’aveva istigata a scapestrati giochi e irriverenti strappi alle regole.
    -È dai morti che pretendi una spiegazione, sorellina?-
    Quell’ironia dissacrante, che le aveva sempre strappato un sorriso, si era trasformata in spietata crudeltà.
    Freya serrò le labbra e lo osservò con durezza. Il sollievo che avrebbe potuto provare nel saperlo vivo, veniva risucchiato prepotentemente dal disprezzo verso le scelte che aveva compiuto.
    Forse non era così diversa dal loro padre, quando aveva asserito che a loro era capitata una sorte migliore di quella dei Cervantes Murillo.
    Ora che la Schmid si trovava nella stessa situazione di Pilar, una parte di lei avrebbe preferito che il fratello fosse veramente morto quel giorno, per non dover affrontare la vergogna che le suscitava l’individuo che aveva davanti.
    -Mi sembri tutt’altro che morto, onestamente, Aaron. -
    Gli rispose, tagliente.
    Sollevò gli occhi al cielo, quando lui commentò il suo aspetto come se ne avesse il diritto.
    -E parli anche decisamente troppo di cose inutili.-
    Ma lo scarto di tono avvenne ben presto. Aaron abbandonò rapidamente i convenevoli per dedicarsi a ciò che evidentemente suscitava maggiormente il suo interesse, ovvero il modo di uscire da quella prigione terribile.
    Freya provò ad indagare il suo cuore, alla ricerca di pietà per quell’uomo con il quale aveva condiviso la sua vita e che adesso si trovava a dover subire ogni giorno l’effetto angosciante dei Dissennatori, ma non ne trovò.
    Era diventata così fredda da non riuscire a provare niente nemmeno per un membro della sua stessa famiglia.
    Ma lui non lo meritava.
    Guardando in quegli occhi accesi di perfidia, che infangavano tutti i loro ricordi, sentiva che non aveva senso aggrapparsi alla speranza di aiutarlo in una redenzione.
    Eppure non era ancora abbastanza forte da fidarsi di se stessa, voltarsi e non guardarsi più indietro.
    Freya non dovette aspettare tanto perché Aaron andasse dritto al punto, come se l’unica utilità che vedesse nella sua presenza ad Azkaban fosse limitata ad un modo per sottrarsi alle sue responsabilità e al tormento al quale era stato condannato.
    Lapidario.
    Calcolatore.
    Meschino.
    Continuavano a non essere così diversi, nonostante tutto. Ma i valori per i quali combattevano erano schierati su due lati opposti della scacchiera, e questo Freya non poteva tollerarlo.
    Avvertì una rabbia sorda gonfiarle il petto e combattere per non essere più trattenuta nel suo corpo.
    -Non ho alcun interesse ad alleviare le tue sofferenze, Aaron!-
    Sbottò con più durezza di quanta avrebbe voluto.
    -Ma non ti rendi conto di quello che hai fatto? Possibile che tu sia sprofondato così in basso da non averne consapevolezza? Hai attaccato dei ragazzini con una frusta di fuoco! Dei ragazzini, Aaron!-
    La sua voce si ammorbidì appena, ma il suo sguardo continuò a scrutare il fratello per giudicarne le reazioni.
    -Non devo prometterti niente per chiederti cosa ti sia successo, cosa abbia annebbiato la tua mente in questo modo. Io sono tua sorella e ho diritto di saperlo! Almeno questo me lo devi dopo che ti ho creduto morto per due anni!-
    Allargò il braccio opposto alla bacchetta e lo portò velocemente a sbattere contro il fianco, piegando il gomito, in una gestualità spazientita che non le era mai appartenuta prima di passare del tempo con i Cervantes Murillo.
    Anche l’aquila che prorompeva dalla sua bacchetta si voltò a guardare l’uomo nella cella e fremette, tradendo un’emotività che la sua evocatrice cercava di nascondere.

    Edited by Judisch* - 8/4/2024, 22:50
     
    Top
    .
  4.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Junior Member

    Group
    Seguaci
    Posts
    16
    Punti attività WWG
    +11

    Status
    tumblr_nd47irSE5I1s1qvmko2_250
    Sbuffò in una mezza risata dinanzi alle accuse che gli rivolgeva. Non provava alcun rimorso per quel che aveva fatto all’interno del ministero francese. Aveva anzi anche limitato i danni di cui sarebbe stato capace ed era anche fiero degli atti commessi. L’unica nota negativa erano le sbarre che lo tenevano lontano dalla libertà. Un male necessario per distogliere l’attenzione dei più da ciò che era realmente importante. - Ragazzini spietati avvelenati dal sangue delle loro infauste famiglie. - Una considerazione quella che non si vergognò di fare. Non avrebbe potuto avere pietà di persone che con i loro gesti e le loro parole, davano man forte a coloro che il mondo lo avrebbero distrutto senza troppi ripensamenti. C’erano mali necessari nel loro universo. - Ripulire il mondo dal marcio che lo vive, è un compito che condividiamo, no? Abbiamo solo punti di vista differenti. - Non lo avrebbe capito, era chiaro. Freya faceva parte di quella categoria di persona incapace di vedere le sfumature di colore. Per lei era tutto o bianco o nero ed un tempo anche per Ymir era così. Poi, pian piano, aveva conosciuto un modo diverso di vivere e di pensare, aveva visto il modo in cui tutto avrebbe potuto evolversi e ne era rimasto ammaliato. Era davvero così sbagliato immaginare un mondo privo di sofferenze? Un mondo in cui nessuno li avrebbe giudicati per le loro origini, per il loro culto o il colore dei capelli? Grindelwald gli aveva mostrato un futuro diverso ed Ymir ne era rimasto ammaliato.
    Si avvicinò alle sbarre, guardando sua sorella di sottecchi. Avrebbe potuto rifilarle qualche bugia, ma si decise a concederle un sincero pezzo della sua esistenza. Non perchè se lo meritasse o perchè glielo dovesse, ma perchè voleva farlo. La sincerità non gli aveva mai fatto paura. - I nazisti mi hanno prelevato e torturato affinchè rivelassi la dimora di altri come noi. - Juden, come li chiamavano. - La mia bocca è rimasta chiusa mentre si divertivano a cercare nuovi modi per causarmi dolore. - Ricordava perfettamente la lama fredda sul suo corpo. A volte gli sembrava quasi di poter percepire lo stesso dolore.
    - Io ho spaventato dei ragazzini con qualche giochetto di prestigio, ma loro e quelli che li appoggiano stanno dilaniando la nostra gente in modo osceno. - Si raccontavano storie atroci di morti indegne. Di corpi torturati e dilaniati per niente, a volte anche solo per scherzo. Valeva la pena combattere affinchè mostri del genere mantenessero la propria libertà? Strinse le mani sulle sbarre, avvicinando il volto affinchè Freya potesse guardarlo negli occhi.
    - Pensaci. In un mondo in cui i babbani siano tenuti a bada da leggi stipulate da noi, niente di quello che sta accadendo alla nostra casa sarebbe accaduto. - Ci credeva in quel che diceva. Non erano le farneticazioni di un folle, era il discorso lucido di chi credeva nelle proprie convinzioni. Era conscio del fatto che questo a Freya non sarebbe bastato. Era il motivo principale che lo aveva condotto a lasciarsi la sua vecchia vita alle spalle e ricominciare da zero, senza fatiche o pentimenti. - Sapevo non avresti capito e non volevo ferirti. Così ho cambiato nome quando ho cambiato vita.- Piegò il capo guardandola, concedendole un altro sorriso. Dopotutto il loro percorso non era stato poi così dissimile. Avevano solo intrapreso strade opposte che ora li avevano condotti l’uno dinanzi all’altro. - Forse non sono il solo ad averlo fatto. -



     
    Top
    .
  5.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Junior Member

    Group
    Maghi
    Posts
    49
    Punti attività WWG
    +30

    Status
    GtNT9e9Avrebbe voluto trovare negli occhi del fratello un lampo di ripensamento, un bagliore che le facesse capire che non era completamente scomparso.
    Ma l’uomo che aveva davanti sembrava voler confermare a tutti i costi le sue parole. Aaron era morto.
    Non c’era traccia della brillante intelligenza o dell’ironia delicata che avevano contraddistinto il maggiore dei fratelli Schmid.
    Era come se qualcosa avesse spazzato via dalla sua memoria ciò che era stato. Ciò che erano stati tutti loro.
    Mentre sentiva le sue farneticazioni, si irrigidì avvertendo un gelo lungo la schiena che non aveva niente a che fare con la presenza dei Dissennatori poco lontani da lei. O forse si, ma in quel momento non avrebbe saputo distinguerlo.
    Quello davanti a lei non era nient’altro che un seguace. Ne aveva interrogati tanti, in quelle stesse condizioni. Loro sbattuti in una cella umida e buia e lei dall’altra parte, minacciosa e austera.
    Loro irriverenti in quel sorriso folle e lei pietrificata nelle sue domande inquisitorie.
    Le risposte erano sempre le stesse.
    Aaron, o qualsiasi fosse il nuovo nome che aveva scelto per se stesso, era esattamente come loro. Un disco rotto che suonava ripetutamente la stessa melodia distorta.
    Ripulire il mondo dal marcio.
    Assicurarsi che i no- Mag non cercassero di sterminarci.
    Garantire la nostra supremazia.
    Far valere l’evidente superiorità della nostra specie magica.”

    Freya aveva la nausea da quante volte si era trovata costretta a scrivere queste parole sul foglio nel quale riportava l’interrogatorio.
    Era stanca di spiegare perché quei discorsi non avessero senso, perché impoverissero chi li usava. Era fiato sprecato.
    Quei criminali erano perduti, annegati nella loro stessa spirale di delirio. E la colpa era certamente di Grindelwald che li aveva trascinati dentro quell’ossessione, millantando loro chissà quali promesse.
    Ma era anche di tutti loro, che erano talmente dissociati dalla realtà da credere alle parole di un singolo, sconsiderato uomo.
    Doveva rinunciare una volta in più.
    Anche se la persona che aveva davanti era suo fratello e non avrebbe esitato a cercare di salvarlo, se avesse visto in lui la benché minima speranza di redenzione.
    Ma nei suoi occhi vedeva soltanto la follia di un uomo che si era spinto troppo oltre i confini della propria coscienza.
    Non poteva negare il dolore che provava al pensiero di lui, torturato dai nazisti. Era qualcosa che aveva infestato i suoi incubi per anni.
    A volte si svegliava ancora sudata e sconvolta, pensando di essere lì con lui ma di non riuscire a salvarlo.
    Non urlava, al contrario di Miriam, solo perché non voleva spaventare la sorellina.
    Ma era ben consapevole che quella guerra non li avrebbe portati da nessuna parte. Non avrebbe salvato coloro che erano stati vittime dei nazisti e non avrebbe salvato suo fratello.
    -Il tuo cervello è corroso da questi discorsi, Aaron. Ti impediscono di ragionare. Voi state facendo esattamente la stessa cosa dei nazisti. Non siete diversi da loro.
    Torturate.
    Estorcete informazioni.
    Uccidete coloro che intralciano la vostra strada, senza alcuna pietà.
    Ciò che cambia è l’oggetto del vostro odio.
    Per i nazisti siamo noi ebrei, per voi sono i babbani.
    Ma ciò che alimenta questo odio rimanere immutato. Il desiderio smodato e farneticante di potere. Un potere acquisito con il sangue di innocenti. -

    Si avvicinò pericolosamente alle sbarre che la tenevano separata dal fratello, gli occhi furenti che tradivano la sua rabbia.
    Il suo Patronus vibrò, visibilmente indebolito dalla presenza di emozioni contrastanti e alcuni Dissennatori destarono la loro attenzione nei suoi confronti.
    -Sei stato estremamente premuroso. Immagino che dovrei ringraziarti.- gli sputò addosso quelle parole, con acida ironia, in risposta alle sue motivazioni sulla sua scomparsa.
    Come poteva aver scelto davvero quella strada? Dopo tutto quello che avevano affrontato insieme? Dopo essere sopravvissuti l’uno grazie all’altra in una famiglia anaffettiva e distaccata?
    Dopo essersi spronati a vicenda per essere migliori, per non scivolare negli errori compiuti dai genitori?
    Dopo essersi giurati che avrebbero fatto il possibile per inseguire i loro desideri più sinceri?
    Erano quelle le aspirazioni di Aaron?
    Aveva davvero sbagliato così tanto nel capirlo, fin da quando erano bambini?
    Quel mostro era sempre stato dentro di lui, pronto a sbranare da dentro il ragazzino che le aveva insegnato a distaccarsi dalla mediocrità o era stato Grindelwald a inculcarlo a forza in un cuore troppo provato dalla sofferenza subita?
    -Voi state rischiando di far precipitare il nostro mondo, ma siete troppo ciechi per rendervene conto.
    E magari tu credi davvero in quello che dici, nel principio che sei stato convinto a idolatrare. Ma il tuo Signore, colui per il quale stai marcendo in questa prigione, ha ben altri progetti in mente, che non hanno niente a che fare con la vostra nobiltà d’animo. -

    Due Dissennatori si distaccarono dalle loro postazioni e si mossero in direzione della cella di suo fratello, irresistibilmente attratti dalle emozioni che venivano emanate da quella zona.
    Freya avvertì un gelo che le attanagliava i polmoni e una disperazione sottile e subdola penetrarle sotto la pelle. Ma non si mosse, non avrebbe ceduto terreno, fino a che non avesse buttato fuori tutto il veleno che rischiava di soffocarla.
    Si erano presi tutto.
    La sua casa.
    La sua terra natia.
    La sua famiglia.
    La sua stabilità.
    Sapeva che si erano presi anche suo fratello, molto tempo addietro. Ma ancora non riusciva veramente a lasciarlo andare. Non ora che lo aveva ad un palmo da sé.
    Era l’unico con il quale potesse davvero parlare in quel modo, persino ora, che era dalla parte sbagliata della trincea.
    Persino ora che era chiuso in una cella per i crimini che aveva commesso e di cui lei era stata testimone.
     
    Top
    .
4 replies since 26/12/2023, 16:42   99 views
  Share  
.