Until the fear is leaving

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    Si era addormentata.
    Nonostante la posizione scomoda, nonostante il rumore intermittente e fastidioso del monitor, nonostante le impietose luci artificiali.
    Nonostante si fosse ripromessa di non farlo.
    Nonostante avesse cortesemente rifiutato la poltrona reclinata che Ayhoka Cervantes Murillo le aveva ceduto quando si era allontanata per andare da suo marito e suo figlio.
    Perché mai Freya si sarebbe dovuta sedere al posto occupato da lei?
    Non era niente, in quella famiglia.
    Niente se non un’ospite che avevano salvato dallo sterminio.
    O almeno era stato così, prima.
    Ma prima di cosa?
    Freya non ricordava il momento in cui era passata dal provare una subdola curiosità per la storia di Pilar al desiderare di restarle accanto finché non si fosse svegliata, in un letto d’ospedale.
    Eppure si era addormentata.
    Proprio su quella poltrona scomoda che la madre di lei le aveva ceduto.
    Si era raggomitolata su un fianco, coprendosi anche le gambe con il lungo cardigan grigio.
    Come pantaloni aveva dei semplici leggings neri, che ben presto avevano sostituito la camicia da notte fornita dal San Mungo.
    Questo era il nome del celebre ospedale inglese dove erano stati trasferiti tutti gli ospiti illustri che avevano partecipato alla disastrosa festa al Ministero della Magia francese.
    Anche Freya era stata costretta ad un ricovero forzato, nonostante lei si fosse imposta con tutte le sue arti dialettiche.
    Ma i medici non avevano voluto sentire ragione.
    Le avevano detto che era necessario. Che era una precauzione. I danni subiti durante questi eventi traumatici spesso non erano subito visibili e tenerla sotto controllo sarebbe stato indispensabile.
    Eppure Freya non era in grado di fare la paziente, soprattutto se si sentiva fisicamente bene.
    Soprattutto con il ricordo di Pilar Cervantes Murillo che si accasciava tra le sue braccia.
    Poco dopo il ricovero, era sgattaiolata lontano dalla sua stanza, nel reparto di trattamenti intensivi, e l’aveva cercata.
    Non era stato difficile trovarla, dato che la sua stanza era quella con gli Auror americani a guardia della porta.
    Avvicinarsi era stata tutta un’altra questione.
    Nessuno aveva voluto farla entrare, avevano il compito di ammettere solo persone di famiglia. E Freya, ancora una volta, non ne faceva certo parte.
    Solo quando era arrivata Ayhoka, che l’aveva abbracciata stretta, come se avesse onestamente temuto anche per la sua vita, allora le guardie avevano ceduto e le avevano permesso brevi visite.
    Quella sera, invece, era stata proprio la signora Cervantes Murillo a chiederle di tenere compagnia a Pilar, mentre lei passava del tempo al capezzale del Generale e di Iago.
    Freya si sentiva tremendamente in colpa. Non aveva minimamente cercato la loro stanza e si era informata in maniera sommaria delle sorti dell’uomo che li aveva salvati.
    Temeva di essere invadente, certo.
    Ma temeva anche lui, per qualche ragione che ancora non capiva.
    E soprattutto, il suo interesse era tutto concentrato sulla giovane Auror.

    Non avrebbe saputo dire cosa l’avesse svegliata. Forse un dolore alla schiena che le ricordava che non era più una bambina e non le era concesso addormentarsi in posizioni avventurose.
    Si raddrizzò a sedere e si massaggiò il collo, anch’esso dolente.
    Fece scorrere gli occhi di ghiaccio sul volto addormentato di Pilar, sulle sacche delle flebo che pendevano appese alle aste, sullo schermo che registrava costantemente i suoi parametri.
    Diede un rapido sguardo alla stanza, era vuota a parte loro. Nessuno l’aveva vista cedere il passo al sonno. Nessuno l’aveva disturbata, concedendole quell’insolito momento di intimità.
    Fissò con inusuale insistenza la mano di Pilar. La sua pelle scura contrastava con il candore delle lenzuola, ma il sottile tubo a cui si collegavano le flebo, rovinava quell’immagine di forte delicatezza.
    Freya avrebbe voluto stringerla, quella mano.
    Scuoterla persino.
    Implorare Pilar di svegliarsi, perché non era più in grado di sostenere quell’attesa estenuante.
    Erano passate non più di ventiquattro ore dalla tragedia del Ministero, e i medimaghi avevano somministrato a Pilar dei sedativi perché potesse riprendersi meglio dai traumi subiti.
    Ma quel sonno innaturale lasciava Freya in una situazione di estrema angoscia.
    Non aveva idea di come comportarsi in quelle situazioni. Lei era brava nel lanciarsi all’attacco verbale o nel gestire situazioni diplomaticamente complesse, ma gli ospedali erano un universo che la spaventava.
    C’erano leggi non scritte, regole che aleggiavano per i corridoi e che lei non capiva. Quell’odore nauseante di disinfettante e di corpi malati le scatenavano un senso di disagio e al tempo stesso un’attrazione misteriosa.
    Aveva cercato di ignorare, per tutte quelle ore, il peso allo stomaco che le aveva causato vedere suo fratello maggiore ancora in vita. Il sollievo e la successiva angoscia nello scoprirlo sano e salvo, ma schierato con i seguaci di Grindelwald.
    Gli stessi uomini che avevano cercato di uccidere tutti i componenti e le componenti della sua famiglia.
    Gli stessi che lei aveva accusato per così tanto tempo di averglielo portato via.
    Era stato così, ma non nel modo in cui aveva sempre pensato.
    Ma avrebbe tenuto quel pensiero accantonato fino a che non fosse giunto il momento di comprendere.
    La priorità adesso era che Pilar si svegliasse.
    Pilar, grazie alla quale erano riusciti ad uscire da quella prigione di morte e fuoco in cui li avevano rinchiusi i seguaci.
    Pilar che si era esposta per seguire Freya nella sua folle corsa alla ricerca dei ragazzi.
    Pilar che l’aveva sostenuta in ogni momento di quella crisi angosciante.
    Pilar, il cui sguardo era stato la sua ancora di salvezza mentre il mondo attorno a loro sembrava precipitare.
    Doveva svegliarsi.
    Non c’erano alternative.
    Doveva svegliarsi e doveva farlo adesso.
    Freya abbassò per un attimo il volto e iniziò a giocare nervosamente con il braccialetto di plastica che le avevano apposto al polso al momento dell’ingresso in pronto soccorso.
    Vi era scritto il suo nome e la sua data di nascita, seguiti da un codice numerico che evidentemente doveva servire per identificarla.
    -Per favore.- sussurrò all’aria stantia della stanza.
    -Per favore, ho bisogno che ti svegli.-
    La voce rotta, così inusuale per la Procuratrice Schmid, sembrò quasi rimbombare nella stanza vuota, tra i macchinari asettici e le finestre con le imposte rigorosamente serrate.

    Edited by Judisch* - 24/10/2023, 00:16
     
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    Improvvisamente il caos era cessato ed il dolore sparito e, in quello stato onirico dove tutto taceva Pilar non aveva sentito il bisogno di farsi domande.
    Si ritrovò a bearsi di una staticità che mai avrebbe pensato di poter tollerare, e tutto ciò che era successo prima sembrava essere qualcosa di talmente remoto da non toccarla affatto.
    Ma cosa era successi prima?
    Passeggiava lentamente lungo… cosa? Una strada? Non vedeva I confine della carreggiata e nemmeno palazzi o paesaggi a costeggiarla. Un corridoio?... nella luce abbagliante che non feriva gli occhi, le parve di distinguere le sagome di alcune porte.
    Allora doveva essere davvero un corridoio… Ma quella nuova consapevolezza non le chiarì altro sul luogo nel quale si trovava.
    Improvvisamente le parve di sentire delle voci. Voci concitate, spaventate… Sentì in lontananza l’imperversare di una battaglia magica. Prese a correre, correre verso una delle porte di quel corridoio. Tentò di aprirla, mentre i suoni della battaglia si facevano più incalzanti, ma la porta non le cedeva il passo. Pilar cercò invano la sua bacchetta, dov’era finita? Non riusciva a trovarla, ma non poteva credere di non averla con sé.
    Improvvisamente quello stato di quiete e beatitudine l’abbandonò per far posto all’angoscia dell’impotenza.
    Sentiva urla strazianti, esplosioni… Pilar cerava disperatamente di aprire la porta, ma quella maledetta sembrava bloccata.
    Si sentì chiamare dall’altra parte. Una voce che le fece male per la disperazione con la quale la chiamava. O erano due… riconobbe la voce di Josè, terribile dire qualcosa di altrettanto orribile, plagiata ormai dall’odio che Grindelwald aveva iniettato dentro il suo cuore. E poi la voce dura di suo padre, dal pulpito della ragione… ascoltò il pianto di Ana e Rami… Ma la voce che la chiamava era un’altra.
    Pilar provò a mandar giù la porta a spallate, iniziò a picchiare contro di essa con i palmi delle mani che le bruciavano, mentre quella voce ancora la chiamava.
    Si rese conto, dopo un po’ che quella voce non proveniva dalla stessa direzione delle altre. Non faceva parte del caos della battaglia, degli orrori che stavano capitando ancora alla sua famiglia.
    Si girò.
    Nel corridoio c’era sempre e solo una forte luce. Nessun’altro a parte lei. Si mosse. Nell’aria solo il rumore dei propri passi e poi… -Per favore.- Pilar aggrottò le sopracciglia, si girò indietro. Nessuno. -Per favore.- Ancora quella voce, un eco che si propagò risuonando nelle sue orecchie, nella sua testa.
    Gli occhi che si incontrano.
    Le mani strette l’una nell’altra.
    I piedi scalzi.
    -Per favore.-
    La mano che le sfiorava il corpo.
    Leggera e l’aria fredda.
    L’erba appena umida di rugiada.
    E poi la mano sul suo ventre. Una scossa dentro al proprio . I denti stretti. Il respiro rotto. Quella voce… La prima volta che l’aveva sentita le era sembrata così fredda, come una registrazione su un nastro…-La prego di accomodarsi, Auror Cervantes Murillo. Io sono…
    -Per favore, ho bisogno che ti svegli.- Freya .

    Pilar si mosse. Sentì contro il corpo la chiara sensazione del contatto della propria pelle con della stoffa. Lenzuola ruvide. Storse le labbra in una smorfia, aggrottò le sopracciglia e lentamente, scacciando via il torpore aprì gli occhi.
    Una stanza bianca, ma non abbagliante. Ci mise qualche istante ad abituarsi alla luce, girò appena la testa ed incontrò la figura della Procuratrice Freya Schmid accanto al suo letto.
    Nemmeno si accorse delle labbra che le si piegarono in un sorriso.
    “Ehi Rubita…", la chiamò con voce flebile di chi non parlava da troppo tempo. E allungò la mano verso di lei, fino a sfiorarle il viso con le dita in una carezza.









    Edited by keezheekoni - 25/10/2023, 17:17
     
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    Colse dei movimenti che scuotevano il corpo di Pilar e si sporse, allarmata, verso di lei.
    Appena in tempo per incrociare le sue palpebre che si aprivano faticosamente e i suoi occhi che si spalancavano in quelli di lei.
    Freya trattenne il respiro.
    Per un tempo così lungo, che non avrebbe saputo neanche lei quantificarlo. Ma sicuramente non se ne accorse.
    Quegli occhi scuri, capaci di essere al tempo stesso velati di angoscia e ridenti di gioco, le tolsero la capacità di ragionamento.
    Vi annegò dentro e vi trovò una forza che non si era aspettata di avere, di sentire.
    Non si accorse delle sue mani che si protendevano fino a stringere il lenzuolo di fianco alla giovane Auror.
    Non si rese conto del suo sguardo angosciato, fremente, che scorreva sul suo volto alla ricerca di qualcosa da dire.
    Poi la mano di lei sfiorò la sua guancia.
    E Freya respirò di nuovo.
    Per poi avvertire un gemito provenire dalla sua gola, quando Pilar parlò, con quella voce affaticata, come se stesse sollevando una montagna.
    Era probabilmente così che si era sentita durante quella battaglia, come se tutto il peso gravasse sulle sue spalle minute.
    Avrebbe voluto poterne portare una parte.
    Far sì che si alleggerisse.
    Che non si ritenesse responsabile di ciò che non aveva funzionato.
    Perché aveva quella necessità?
    Non era normale.
    Freya non era abituata a sentirsi in quel modo.
    Non rispose al suo apostrofarla.
    Sembrava che si stesse rivolgendo a lei, ma forse non l’aveva riconosciuta. La parola spagnola che aveva usato, poteva essere benissimo un nomignolo dato ad una sua amica d’infanzia. La Schmid si ripromise di andare a cercarne il significato.
    -Pilar…-
    Il suo nome uscì con inusuale sollievo.
    -Sono Freya.-
    Specificò, con espressione lievemente dolente.
    Era ancora confusa, era giusto aiutarla a capire cosa le stesse succedendo.
    Le mise una mano sulla spalla, mentre l’altra continuava a stringere le lenzuola.
    Troppo convulsamente per il coinvolgimento che avrebbe dovuto avere in quella situazione.
    -Ti prego di non agitarti, siamo al San Mungo, l’ospedale di Londra. C’è stata una battaglia al Ministero francese, ma siamo riuscite ad uscirne.-
    La presa sulla sua spalla si fece più decisa. Accennò un sorriso, e senti che dietro ad esso c’era un’illusione che non poteva permettersi di assecondare.
    Quella che quel primo sorriso di Pilar, vedendola, fosse stato davvero per lei.
    -Sei stata ferita negli scontri, ma i Medimaghi hanno detto che ti riprenderai completamente con le cure adeguate e un po’ di riposo.-
    Si guardò frettolosamente attorno. Non c’era nessuno che potesse informarla a parte lei. Ed era giusto che Pilar sapesse, che non rimanesse nell’ignoranza.
    Lei avrebbe voluto lo stesso trattamento.
    Avrebbe voluto sapere che suo fratello non era morto, ma era diventato uno dei più atroci seguaci di Grindelwald.
    Scacciò quel pensiero, tornando a rivolgere i suoi occhi chiari su Pilar. Abbassò il tono e lo modulò dolcemente.
    -Anche tuo padre e tuo fratello sono stati trasferiti qui, e tua madre è venuta di corsa dal Texas. Sono stabili entrambi.-
     
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    Quasi non se ne accorse. Rubita… le rimbombò nella testa, nella memora come un’eco. L’eco di una parola detta, o sognata? Doveva essere successo per davvero.
    Quando aveva incontrato quegli occhi grigio-verdi, non aveva avuto dubbi a chi appartenessero. Com’era possibile? Non avrebbero potuto appartenere a nessun’altra.
    Che pensiero sciocco… Così come sciocco ed insensato era stato non aver provato alcun stupore nel vederla lì, nel vedere lei prima di chiunque altro. Come fosse stata la cosa più ovvia, naturale al mondo.
    Pilar nemmeno se ne accorse, nemmeno sprecò tempo a chiedersi il perché… Aveva senso in quel momento, chiedersi il perché?
    -Pilar…- il modo con il quale il suo nome era venuto fuori da quelle labbra, -Sono Freya.- Lo sé, Rubita… Rubita. Ancora. Ma stavolta non lo disse, era abbastanza sicura d’averlo ripetuto soltanto nella sua testa. Rubita. Come aveva fatto a sfuggirle dalle labbra con tanta naturalezza, quel nomignolo che la prima volta le aveva affibbiato con sfida, mentre in quel momento era venuto fuori dolce e familiare, così come il gesto della mano che aveva sfiorato il volto della donna al suo capezzale. Si chiese che importanza avesse ora che sentiva solo il desiderio, timido e bruciante, che le prendesse la mano e la stringesse nella propria.
    La guardò intensamente negli occhi, quasi come se quel desiderio potesse passare fra i loro sguardi e parlarle… ma non accadde.
    Freya tornò a parlare e la sua voce iniziò a suonare meno lontana, -Ti prego di non agitarti, - una richiesta insolitamente buffa, oltre che assolutamente nota. Considerò, nell’arco della frazione di secondo che Freya impiegò a continuare il suo discorso, che per tutta la vita le era stato chiesto di non essere agitata. Avrebbe dovuti essere quieta, posata, moderata… “Como el rìo.” era solito dire suo padre, il Generale. Un’altra cosa sulla quale aveva torto. - siamo al San Mungo, l’ospedale di Londra. C’è stata una battaglia al Ministero francese, ma siamo riuscite ad uscirne. -
    Pilar si accigliò. San Mungo? Battaglia? E poi la sua espressione mutò, non avrebbe saputo dire come, ma doveva essere quella di chi passa dal non capire ad avere improvvisamente tutto chiaro.
    Pilar ricordò il ricevimento, lo spiacevole scambio di battute col Ministro della Magia Francese, la risposta falsamente cordiale di suo padre… Iago. C’era anche Iago. E poi il caos… incantesimi che balzavano da una parte all’altra dell’enorme atrio del Ministero francese. E poi l’incendio e quel pazzo con la frusta infuocata.
    Ed in mezzo tutto quel caos, erano state loro a riuscire a mantenere il sangue freddo necessario per riuscire a portare via di lì… “Papà... Iago! I ragazzi…” parlò improvvisamente, agitandosi - come le era stato chiesto di non fare. Cercò di tirarsi su, di alzarsi dal letto, ma una tremenda fitta di dolore la paralizzò, con un lamento sordo. Riprese piano a respirare “… stanno bene?” chiese , “Iago e papà... stanno bene?” chiese ancora, arrendendosi alla fitta lungo il fianco, con una smorfia di dolore.
    La ferita.
    Forse la più grave che aveva riportato durante gli scontri. -Sei stata ferita negli scontri, ma i Medimaghi hanno detto che ti riprenderai completamente con le cure adeguate e un po’ di riposo. - Pilar roteò gli occhi e sbuffò con un sorriso. Non avrebbe mai riposato quanto consigliato dai Medimaghi… era una vita che lottava con sua madre per quel motivo, tanto che alla fine Ahyoka aveva semplicemente acconsentito al fatto che sua figlia fosse abbastanza grande da prendersi cura di se stessa come meglio credeva. Salvo poi le volte in cui Pilar, aveva dovuto ammettere che si sbagliava. Poche. Meglio tenersi il dolore che perdere l’onore!
    -Anche tuo padre e tuo fratello sono stati trasferiti qui, e tua madre è venuta di corsa dal Texas. Sono stabili entrambi. - Tirò un sospiro di sollievo a quella notizia. Iago e loro padre stavano entrambi bene. Si sarebbe alzata e sarebbe corsa da loro se solo ne fosse stata in grado. Provò nuovamente a sollevarsi contro il cuscino, resistendo al fastidioso dolore che sentiva al fianco.
    “Dimenticato nulla? ” sussurrò con voce ancora roca, sollevando nuovamente lo sguardo su Freya. Accennò un sorriso divertito quando la vide accigliarsi confusa, “Tu come stai…” perché di tutto il mare di preziose informazioni che le aveva dato, quella non c’era. Ed era assurdo, per Pilar, che di tutte le cose importanti, Freya si fosse dimenticata proprio di dirle come stava, dopo aver combattuto fianco a fianco durante quella brutale imboscata, cercando di coprirsi le spalle a vicenda per tutto il tempo. Dopo che Pilar si era frapposta fra lei e quel folle che brandiva una frusta infuocata, minacciandola. “…Rubita?” questa volta seppe di averlo detto. Così come consapevole fu il gesto di posare la mano su quella di lei, che stringeva forte il lenzuolo del letto.




    Edited by keezheekoni - 31/10/2023, 18:49
     
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    Non avrebbe potuto aspettarsi niente di diverso.
    Freya lo aveva immaginato.
    E infatti Pilar provò a muoversi, visibilmente turbata dal ricordo di ciò che era successo. Man mano che la memoria riaffiorava, dolorosa e angosciante, emergeva anche il bisogno di contrastarla e di scendere a patti con l’ineluttabilità di ciò che era successo.
    Era stato un disastro.
    I seguaci erano penetrati all’interno del Ministero francese in maniera così profonda e subdola, che era stato un trauma per tutti e tutte coloro che erano stati presenti a quel ricevimento tragico.
    Freya si avvicinò a lei, come se questo potesse aiutarla nella comprensione, come se la loro vicinanza potesse trasmetterle che non era da sola.
    Non lo era stata durante la battaglia, e non lo sarebbe stata adesso che avevano la necessità di rimettere insieme i pezzi.
    Ma quando udì il lamento di dolore fuoriuscire dalle sue labbra, la Schmid trattenne il fiato. Ebbe l’impressione che non sarebbe riuscita più a respirare regolarmente.
    -Pilar…- ma la sua voce si ruppe, incapace di proseguire.
    La fermò, mentre cercava di alzarsi, poggiando entrambe le mani sulle sue spalle, dolcemente, e la aiutò a tornare distesa sul materasso, cercando di ignorare la sua espressione frustrata.
    Le sistemò il cuscino dietro la testa, di modo che potesse essere più comoda, e nel farlo si protese verso Pilar.
    La sua mano andò, inconsapevole e traditrice, a carezzarle la testa, nel punto in cui i capelli scuri si ramificavano dalla fronte.
    -Ti prego, cerca di rimanere ferma. I Medimaghi hanno detto che sarà questione di poco tempo, ma devi permettere alla ferita di iniziare a rimarginarsi.-
    L’angoscia che trapelò dalla sua voce, fu evidente. Tremendamente evidente.
    Serrò le labbra, per quell’ammissione di emozione che non si sarebbe dovuta permettere.
    Ma i suoi occhi, velati di lacrime, continuarono a trasmettere quell’attenzione che avrebbe voluto nascondere.
    Eppure non li discostò, come avrebbe fatto in altre circostanze.
    Come aveva effettivamente fatto in altre circostanze.
    Quando la situazione iniziava a diventare più intensa e lei non capiva.
    Ma non si sarebbe tirata indietro stavolta.
    Non avrebbe ignorato ciò che evidentemente provava.
    Non avrebbe represso quella consapevolezza che stava dilagando in lei, ora che vedeva Pilar soffrire.
    Ora che iniziava a comprendere perché fosse così intollerabile il suo dolore.
    Non si sarebbe nascosta da se stessa.
    Non più.
    Come aveva potuto essere così cieca?
    Vederla soffrire, distesa tra quelle lenzuola, la devastava. Non poteva accettare che le succedesse qualcosa.
    Ciò che sarebbe successo una volta che Pilar fosse uscita dall’ospedale non aveva importanza. L’unica cosa che contava era che lei stesse bene, in quel momento.
    Anche se sapeva che l’avrebbe persa.
    Che non avrebbe potuto averla nel modo in cui la desiderava.
    Perché non era concepibile, per loro due, in quel periodo, ciò che Freya realmente provava.
    Ma aveva il privilegio di esserle vicina in quel momento delicato della sua vita, di sostenerla, di darle forza. E questo sarebbe stato abbastanza.
    -Dimenticato nulla?-
    Abbassò lo sguardo su di lei e ritrasse impercettibilmente il volto.
    Le sue mani tornarono a posizionarsi una in grembo e una sul lenzuolo.
    Rapidamente ripercorse ciò che era successo e si chiese cosa avesse potuto trascurare.
    Non aveva dato informazioni sugli studenti, di cui Pilar aveva espressamente chiesto, e si preparò a rassicurarla anche sulle loro condizioni, riacquistando una postura più distaccata per fornirle le informazioni che aveva faticosamente conquistato dalle infermiere.
    - Tu come stai…-
    Il discorso che aveva già iniziato a formulare nella sua testa venne spazzato da una folata di vento caldo e improvviso.
    Le sue spalle cedettero e tornò a sedersi in una posizione più comoda, per quanto il suo sguardo stupito continuasse a non comprendere a pieno ciò che le veniva chiesto.
    Che cosa le importava?
    Freya era stata sgradevole e subdola con lei, la prima volta che si erano incontrate. E si era tenuta a distanza nel suo tentativo amichevole di coinvolgerla durante la cena in casa Cervantes Murillo.
    Certo, durante la battaglia erano state una squadra, e Freya adesso era lì, a pregarla di non muoversi e ad assicurarsi che le sue condizioni fossero stabili.
    Ma per la tedesca tutto questo aveva perfettamente senso. La sua parte era comprensibile.
    Quella di Pilar no.
    Eppure prima che potesse ribattere con qualche frase sottile e deviare l’attenzione, l’Auror Cervantes Murillo parlò di nuovo.
    -… Rubita?-
    Il sorriso giocoso che le illuminò il volto sofferente, fu abbastanza per farla crollare.
    Sgranò gli occhi e dischiuse le labbra.
    Ormai il suo corpo aveva smesso di risponderle, evidentemente.
    Si ricompose frettolosamente, ma seppe che Pilar aveva visto.
    E nel frattempo, il suo cuore era in subbuglio.
    Rubita.
    Aveva pronunciato quella parola quando si era svegliata e l’aveva ripetuta adesso, rivolgendosi a lei.
    Era innegabile che dovesse essere una sorta di soprannome, che Pilar si era permessa di scegliere per lei.
    Un soprannome.
    Era possibile?
    Freya non capiva, era così confusa e perplessa che strinse nuovamente il lenzuolo, come se questo potesse aiutarla a comprendere.
    Ma sulla sua stretta, ne avvertì un’altra.
    Abbassò gli occhi sulla calda mano di Pilar, chiusa attorno alla sua, e per qualche lungo istante non riuscì a comprendere cosa stesse succedendo.
    Poi calde lacrime iniziarono a scenderle, silenziose, lungo le guance.
    Non avrebbe saputo identificare il motivo preciso. La tensione della battaglia, la paura per la loro vita, la corsa folle verso l’ospedale, l’insopportabile attenzione che le infermiere le avevano dedicato, sottraendole tempo che avrebbe potuto dedicare a cercarla, a capire come stava.
    Ma anche sentimenti taciuti, repressi, ignorati, in nome di una necessità culturale che in quel momento le sembrava così insensata e di una paura di rifiuto che temeva a lasciar andare.
    Non osò sollevare lo sguardo su di lei.
    Non ancora.
    Si asciugò le guance con il dorso della mano, coperto dalla manica del maglione.
    Eppure se Pilar, sofferente e sconvolta dopo un combattimento di tale entità, si interessava a come stava lei, poteva permettersi una lieve speranza?
    O forse l’Auror Cervantes Murillo era semplicemente cortese, al contrario di lei.
    Decise di optare per quell’alternativa e di ignorare la presenza di un apparente soprannome.
    -Sto bene…- mentì, con la facilità con cui era solita farlo quando le serviva, e annuì per rafforzare il concetto.
    -Sono solo meno abituata di te ad affrontare certi tipi di situazioni.-
    Finalmente tornò a guardarla, e sentì il cuore che trottava nel petto a ritmo frenetico.
    Le sorrise, con uno strutturato accenno d’intesa, come a voler sdrammatizzare. Come se le sue lacrime fossero state veramente solo causate dalla paura dell’attacco al Ministero francese e non dall’angoscia dei sentimenti che provava e che, lo sapeva, non potevano essere corrisposti.
    Pilar era una donna forte, indipendente e bellissima, ma la sua vita era con un uomo di cui aveva il diritto di innamorarsi follemente.
    Dunque era necessario mantenere le apparenze.
    La loro amicizia sarebbe rimasta un episodio isolato e sarebbe stata ben presto dimenticata da Pilar, nella frenesia della sua vita al Macusa.
    Quanto a Freya avrebbe potuto benissimo evitarla e chiudersi nell’ufficio della Procuratrice per ridurre la probabilità di incontri dolorosi.
    -Penso che dovrei lasciarti riposare, Pilar. -
    Sospirò, con una punta di amarezza nella voce.
    I loro occhi si incrociarono e Freya fu sicura che, se fosse rimasta ancora a lungo, non sarebbe più stata capace di fingere.
    Ma si concesse un ultimo saluto.
    Sciolse la sua mano dalla stretta di quella dell’Auror e si poggiò sul letto per sollevarsi appena e sporgersi verso di lei.
    I loro respiri si intrecciarono, estremamente vicini man mano che Freya si abbassava sul suo volto.
    -Grazie per averci tirati fuori da lì.-
    Poi le sue labbra si posarono sulla fronte di Pilar, in un gesto che non si sarebbe dovuta permettere, ma sul quale si soffermò con dolcezza struggente.
     
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    -Ti prego, cerca di rimanere ferma. I Medimaghi hanno detto che sarà questione di poco tempo, ma devi permettere alla ferita di iniziare a rimarginarsi.- Freya la spinse di nuovo contro il cuscino, delicatamente, ma con fermezza. Non la stessa che le aveva visto impressa sul volto durante l'interrogatorio al quale la sottopose, no. Era una fermezza diversa, che aveva a che fare con qualcosa di altro che Pilar non osò pensare di indagare.
    “I medimaghi esagerano sempre.” sbuffò roteando gli occhi, prima di tornare a guardarla e sorriderle con fare spavaldo.
    Che cosa sciocca la spavalderia. Ricordò di aver sempre odiato gli spavaldi e al contempo di averli spesso affrontati con altrettanta odiosa arroganza... Quante competizioni passate a dover dimostrare il proprio valore, che doveva essere straordinario, per poter pareggiare i conti con l'ordinarietà degli altri contendenti. Maschi per lo più, troppo sicuri di non doversi preoccupare di lei.
    Ma quel sorriso spavaldo per Freya aveva tutt'altro significato. Era un modo, forse inusuale, per rassicurarla, perchè nelle sue parole e nel suo volerla tenere giù, nel gesto di sistemarle il cucino, nei suoi occhi grigi, Pilar ci aveva letto una preoccupazione traboccante. “ Ti svelo un segreto... non amo stare ferma.” aggiunse e fece per mettersi più dritta a sedere, ma un'altra fitta al fianco la colse nuovamente impreparata. Recidiva. Ecco Rubita, segna anche la testa dura e la saltuaria recidività alle cose che tocca sapere di me. Serrò le labbra e gli occhi, in una smorfia di dolore, “Bueno! Sigamos adelante.” disse quelle parole alzando una mano in segno di resa. Momentanea, forse meglio in segno di tregua. Riaprì gli occhi e la guardò ancora, abbozzando un sorriso colpevole.

    Stupore. Non lo stesso che le aveva visto colorarle il volto quando si era tolta le scarpe e l'aveva condotta, scalza, per i corridoi di casa, fino a portarla a stendersi su di un prato sotto il cielo stellato. Era... diverso. Che non si aspettasse quella domanda? La Procuratrice Schmid, si lasciava prendere in contropiede da una cosa così ovvia? Perchè mai Pilar non avrebbe dovuto chiederle come stesse lei?
    Lei, con la quale si era trovata ad affrontare il nemico come... Le fu necessaria una pausa. Pilar non distolse lo sguardo da lei, eppure non la stava più guardando. Avevano affrontato il nemico assieme, forti di una complicità che non sapevano di avere, che non avevano previsto, ma che avevano assecondato con cieca fiducia. Un complicità che... Pilar non era solita chiedersi il perchè di certe cose. Quando erano accadute le aveva semplicemente accolte, era rimasta nel flusso e aveva lasciato le stravolgessero la vita, incurante delle conseguenze. Conseguenze.
    Sentì la morsa delle conseguenze allo stomaco, alla gola il bruciore di un rigurgito. Sentì nelle orecchie la voce di Sophie che la chiamava spaventata, disperata. Sentì sul proprio corpo la stretta di braccia che la bloccavano. Rivide l'immagine del suo viso rigato dalle lacrime e graffiato dalla paura. La sua vista annebbiata da rabbia e ancora lacrime... Quanta vita. Rotta.
    -Sto bene…- Si riscosse da quei pensieri cupi e finalmente tornò a vederla. Il tuffo a pelo d'acqua che i suoi occhi fecero in quelli grigi di Freya, le restituirono una dolcezza inaspettata. Non le apparvero schivi, schermati dalla maschera che le aveva visto indossare spesso. Che le aveva visto scivolare per un attimo, solo un attimo... adesso non ve n'era traccia. Si concentrò sulla sua voce e, si ritrovò ad aggrottare le sopracciglia, poco convinta. ...C'era qualcosa che non tornava in quella risposta. Era stata frettolosa, nello stesso modo in cui lo era un respiro dopo essere stato a lungo trattenuto. E Pilar era sicura fosse arrivata dopo un lungo silenzio, perchè il flusso dei suoi ricordi l'aveva tenuta lontana ben più di qualche istanti, ne era certa. “Si? Guarda che a questo punto dovresti aver capito che non sono tipa da convenevoli.” Rubita, la vita è troppo preziosa per sprecarla nel gioco balordo dei convenevoli con persone per lei quali non nutriamo il minimo interesse. Pilar l'aveva capito molto presto, fin da quando si nascondeva sotto i tavoli dei ricevimenti, per poi uscirne a piedi scalzi in compagnia di sua madre e andare a ballare assieme sull'erba dei prati. -Sono solo meno abituata di te ad affrontare certi tipi di situazioni.-, sorrise, “Beh, a vederti in azione non si direbbe, Procuratrice.” le fece un complimento, prendendola in giro. Perchè la serietà era sopravvalutata e dopo essere sopravvissute ad un momento così terribile, non era davvero opportuna, la serietà. C'era bisogno del concreto della leggerezza, del fresco di un riso, di luce.
    -Penso che dovrei lasciarti riposare, Pilar. -
    Quelle parole la colsero impreparata. Immaginò che il suo volto non tradisse la sincerità del suo stupore. Lo sbigottimento di una bambina che resta in quella linea d'ombra che corre sottile fra il dispiacere e l'inatteso.
    Sentì la mano di Freya sfuggire alla sua presa e avrebbe volto riafferrarla. L'avrebbe fatto, se solo non l'avesse vista avvicinarsi sempre più.
    Gli occhi di Pilar saettavano dagli occhi alle labbra della giovane donna, il cui volto si faceva sempre più vicino. Le labbra si mossero, le vide schiudersi -Grazie per averci tirati fuori da lì.-, ma non sentì davvero le parole che avevano pronunciato.
    Iniziò a sentire il cuore nelle orecchie, prepotente. E lo sguardo smise di non sapere cosa guardare, nell'esatto momento in cui il battere del cuore prese a farsi sempre più prepotente.
    Un bacio.
    Andare incontro a quelle labbra e baciarla. Sarebbe stata la cosa più giusta da fare in quel momento. Più semplice.
    Pilar morse le proprie labbra.
    Le sarebbe bastato sporgersi, afferrarle la nuca con la mano e... Niente più sarebbe stato giusto o semplice. Perchè se anche fosse stato possibile, quella donna, la procuratrice Schmid, sarebbe davvero potuta essere la sua Rubita? Avrebbe rischiato? Avrebbe tolto le scarpe per correre sul prato e stare nel flusso dell'impensato assieme a lei?
    Pilar avrebbe detto che l'unico modo per capirlo era correre il rischio. Ma il rischio, portava delle conseguenze che non era sicura di riuscire ad affrontare una seconda volta. Nemmeno per quegli occhi grigi?
    Il bacio arrivò imprevisto. Pilar sentì le labbra di Freya sulla fronte e si ritrovò a pensare in un attimo, che l'avrebbe trovata così calda da credere che avesse la febbre.
    “No vayas!” disse, improvvisamente, come lo scoppio di un cannone. Quella richiesta proruppe dalle labbra nella lingua della pancia.
    Le mani corsero entrambe a cercare quella di lei. A stringerla nuovamente.
    “Por favor, Rubita... resta.” la pregò, con gli occhi chiusi e le mani strette attorno alla sua. Ma non come si prega una madonna o una santa. La pregò di restare come quando, da bambina, s'affidano i sogni alle stelle.


     
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    Il turbinio di emozioni e contrasti che aveva smesso di cercare di sopprimere, la travolsero quando provò a sollevarsi dalla posizione in cui si era chinata per salutare Pilar e lei protestò.
    La sua voce sofferente le lacerò il petto.
    Non capì cosa le stesse dicendo, perché la sua ostinazione a parlare in spagnolo le rendeva difficile interpretare le parole. Ma ne comprese il senso.
    Come avrebbe potuto non farlo?
    Certo non aveva possibilità di errori, quando il suo sguardo sembrava supplicare quello di Freya con angoscia anelante.
    Si distaccò quel tanto che bastava per assumere una posizione più comoda e perché le fosse possibile vedere la giovane davanti a sé.
    Avvertì le mani dell’Auror che la cercavano freneticamente e che si calmarono solo nel momento in cui si strinsero attorno alla sua.
    Il cuore della tedesca esplose in un galoppo prepotente, come un cavallo stanco della prigionia, che non si sarebbe fermato finché non avesse raggiunto la libertà.
    I suoi occhi grigi trovarono quelli scuri della giovane donna e ne vennero avvolti.
    Le guance, solitamente diafane, si colorarono di rosso e i suoi occhi diventarono lucidi prima che lei potesse sopprimere quell’emozione.
    Ma era innegabile che stesse succedendo qualcosa di potente.
    Freya non osava permettersi di sperare, ma era evidente che Pilar non voleva che lei andasse.
    Anzi.
    Che Pilar la stava pregando di non andare.
    Di restare al suo fianco.
    E Freya non sarebbe andata. Avrebbe fatto qualsiasi cosa le avessero chiesto quegli occhi intensi e quelle labbra carnose.
    Anche se tutto questo era assurdo.
    Lei era la figlia del Generale Cervantes Murillo ed era un’Auror, una meravigliosa, coraggiosa e divertente Auror, che l’aveva portata a guardare le stelle distesa su un prato appena accarezzato dalla rugiada.
    Eppure Freya era una persona per cui la concretezza aveva un significato fondamentale. Avrebbe voluto capire cosa stava succedendo tra di loro, avrebbe voluto interrogare Pilar sulla ragione che la spingeva a volerla lì.
    Ma sapeva che non aveva senso ossessionarsi nel trovare conclusioni immediate, quando neanche lei sapeva veramente cosa stesse provando.
    Aveva solo una certezza.
    Lasciare il capezzale di Pilar sarebbe stato doloroso quando strapparsi un braccio, in quel momento.
    Dunque lasciò che Pilar stringesse la mano di lei tra le sue e sorrise, di un sorriso frettoloso e conciliante, ma erano i suoi occhi a parlare davvero, mentre riversavano sulla Cervantes tutto l’affetto che non avrebbe potuto esprimere a parole.
    -Tranquilla, d’accordo, non vado.-
    La rassicurò, sentendo il bisogno di aiutarla a calmarsi.
    Nella sua voce incrinata tentò di accennare una parvenza di scherzo, come per voler togliere quell’angoscia che sentiva gravare sul suo cuore. Come per voler mostrare un coinvolgimento minore di quello che aveva appena esposto.
    Ma al tempo stesso, sciolse la sua mano dalla presa di Pilar e strinse quelle dell’Auror tra le sue, come a volerle confermare che non si sarebbe allontanata.
    -Se però i Medimaghi dovessero rimproverarmi per averti tenuta sveglia, dirò che è colpa tua, sappilo.-
    Stavolta il sorriso che le rivolse, riuscì a stemperare il tono dolente, a rompere la maschera di ghiaccio e a travolgerla in tutto il corpo.
    Si allontanò ancora, solo lo spazio necessario per sedersi sulla poltrona, mantenendo comunque una posizione scomoda per riuscire a tenere entrambe le mani attorno a quelle di Pilar. Non l’avrebbe lasciata, non in questo momento, non quando sentiva che aveva bisogno di lei.
    Ma mentre alimentava il suo cuore tormentato con queste promesse, qualcosa colse la sua attenzione.
    Distolse lo sguardo da Pilar e lo posò su ciò che l’aveva distratta.
    Sul comodino a fianco della testa dell’Auror c’era un fiore. Un unico fiore dai petali rosa e dai filamenti spessi e scuri, lo stelo era insolitamente lungo, e attorno ad esso vi era stato legato un nastro nero a formare un fiocco.
    Freya avvertì qualcosa rompersi all’altezza del petto.
    Non aveva idea di che fiore si trattasse, ma era evidente che chi lo avesse portato doveva avere un rapporto speciale con Pilar, perché non aveva lasciato alcun biglietto. Questo significava che lei avrebbe capito.
    Le braccia di Freya si fecero pesanti e scivolarono quasi inermi lungo i fianchi, lasciando quella mano che fino all’attimo prima sembrava impossibile abbandonare.
    Quello era un fiore regalato da un amante.
    Era evidente.
    Gli sguardi e la preghiera di rimanere erano stati tutti gesti che aveva interpretato in maniera inopportuna.
    Il gelo tornò a ricoprire la superficie del suo cuore, subdolo come la brina in una mattina d’inverno. Serrò le labbra e si impose un’espressione rigida, che non manifestasse emozioni.
    Si protese verso il fiore e ne strinse lo stelo tra le dita per un attimo, riversando dentro quel fragile gambo tutto il rancore che aveva iniziato improvvisamente a provare.
    Rancore verso di lui che poteva averla.
    Rancore verso la sua incapacità di comprendere ciò che stesse realmente succedendo.
    Stupida.
    Era stata una stupida.
    Come aveva potuto credere che una donna attraente e solare come Pilar non avesse una relazione?
    Ma non avrebbe mostrato la sua delusione alla donna sdraiata nel letto accanto a lei. Ne sarebbe uscita con dignità e compostezza. Era estremamente abile a celare i suoi sentimenti. Perché quell’occasione avrebbe dovuto essere diversa?
    ukf6Yhw Sollevò il fiore dal comodino e lo porse all’Auror, sforzandosi di fuggire allo sguardo penetrante che sentiva su di se.
    Quando parlò, la sua voce era tornata ad essere quella austera del loro primo incontro, velata solo impercettibilmente da un sarcasmo amaro.
    -Pare che tu abbia un ammiratore segreto, Auror Cervantes.-

    Edited by Judisch* - 22/12/2023, 10:01
     
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    Se fosse andata via, avrebbe fatto più male. Pilar non sapeva spiegare il perchè o il come, ma sentiva che avrebbe fatto più male, ed in genere il suo sentire non sbagliava. Non sempre riusciva a dargli una spiegazione, ma non era necessario.
    Se Freya fosse uscita, il dolore non le avrebbe permesso di riposare.
    Così quando la vide aprirsi in un sorriso e sentì le sue mani stringere la propria, Pilar non potè evitare di ricambiare quel sorriso. Né di sentire un immediato, balsamico sollievo.
    Eppure dentro di sé, sentiva anche l'eco di una voce che gridava il suo nome ed ancora che tutto ciò che sentiva non era possibile e che se anche lo fosse stato... glielo avrebbero tolto. Ancora una volta. Ad entrambe.
    Così da un momento all'altro sentì il freddo. Accadde esattamente quando lo sguardo di Freya si spostò dai suoi occhi. Pilar si accigliò, non capendo inizialmente il perchè di quel improvviso turbamento. Di quel freddo che aveva interrotto il calore del loro tenersi per mano.
    Poi Frey si mosse e parlò, dopo aver preso fra le mani... -Pare che tu abbia un ammiratore segreto, Auror Cervantes.- Un fiore.
    Non un fiore qualunque...
    C'era stato un tempo, che sembrava ormai lontanissimo, in cui quel fiore aveva scandito le sue giornate come le lancette di un orologio meno pressante del tempo. Davanti gli occhi di Pilar passarono immagini chiare e indistinte di corse per i prati, ginocchia sbucciate, nasi colanti e giornate passate sotto pesanti coperte, al caldo, ad aspettare che la febbre passasse. E in ognuna di quelle occasioni, la casa aveva il colore ed il profumo di quel fiore.
    Un'echinacea.
    E perchè quell'unico semplice fiore era stato capace di rievocare tanti ricordi? Tanti colori e quell'unico, inconfondibile profumo? Quello delle mani di sua madre, delle tisane e dei decotti, delle pomate e degli olii... Il profumo della cura, che l'aveva avvolta per tanti e tanti anni durante l'infanzia e l'adolescenza e che aveva avvolto anche i suoi fratelli... E fu proprio a quel pensiero che il dettaglio del nastro nero le balzò agli occhi con prepotente consapevolezza. Sentì il cuore mancare un battito e si ritrovò a trattenere un respiro.

    Aveva contratto la spruzzolosi ed era stata messa in quarantena nell'infermeria della scuola e se questo non fosse bastato, assieme al prurito, ad incrementare la sua insofferenza c'era l'impossibilità di poter partecipare alla partita di quidditch contro la squadra di Wampus. La più giovane cercatrice degli ultimi vent'anni, messa ko da una maledettissima e contagiosa febbre pruriginosa!
    Pilar sbuffò, rigirandosi nel letto per la milionesima volta, dovevano essere le dieci di sera. Il banchetto della cena era finito da un po' e in giro per il castello non avrebbe dovuto esserci anima viva. Proprio per quel motivo il rumore della pesante porta dell'infermeria la mise in allarme. Afferrò la bacchetta e castò un “lumos” nella direzione della porta.
    “Cosa ci fai qui? ¡Te vas a enfermar!” esclamò fra i denti invitando il ragazzo che aveva fatto il suo ingresso, violando il coprifuoco. Alla luce della bacchetta, le fu possibile guardare il sorriso sghembo che prima ancora di storcergli le labbra, gli brillò negli occhi azzurri. “Ho già preso la spruzzolosi. Ben 10 anni fa, cara sorellina.” le rispose Josè con quella sua aria saccente,“Me da gusto verte bien.” ma dolce.
    Pilar sorrise, sbuffando una risatina, “Bien... Me veo como una trol...” disse riferendosi alle pustole che le ricoprivano il volto e non solo. “Tontita!” anche Josè rise, avvicinandosi a lei e mostrandole un mazzolino di fiori dai petali rosa e dallo stelo nero, tenuti insieme da un nastrino di raso nero. “Ecco, questi sono per te. Di a Madame McKeller di pestarli e farci un unguento. Ti darà sollievo ed eviterà che ti restino cicatrici.” Echinacee. Pilar sorrise pensando a quando suo fratello avesse trovato il tempo per raccoglierle. “Vedo che A'nì ti ha istruito a dovere.” lo prese in giro guarandolo adagiare i fiori sul comodino accanto al proprio letto. “Sono il figlio preferito!” esclamò, prima di pararsi dalla cuscinata che Pilar gli riservò, “Tonto!” ridendo.
    “Ora e meglio che vada... Guarisci presto. Ilvermory è un mortorio senza Sacudida Murillo!” e così dicendo le fece l'occhiolino, prima di sgattaiolare via così come aveva fatto il suo ingresso.
    Pilar rimase ad osservare la porta chiudersi alla sue spalle, prima di voltarsi verso i fiori che suo fratello aveva colto per lei.


    Un'altra consapevolezza, bruciante quanto la prima, ma più urgente, la fece riemergere dai ricordi del passato. Quel fiore non poteva stare lì sotto gli occhi di tutti, perchè se sua madre non gli aveva prestato attenzione fino ad ora, non significava che non l'avrebbe mai notato. La firma del passaggio di Josè in quell'ospedale. Chissà che aspetto aveva assunto quella volta per eludere la sicurezza che loro padre aveva schierato. Chissà quale volto, quale passo, quali occhi... Chissà come doveva essere potersi mostrare solo attraverso altri e mai a se stesso.
    Pilar protese le mano per prendere il fiore dalla mano di Freya. La mano che prima stringeva la sua, che adesso sembrava essere fredda come il gambo di quel fiore. Rilassarsi non le fu possibile nemmeno quando afferrò il fiore. Se lo portò al petto, chiudendo gli occhi e respirando affannosamente. Lo strinse a sé, accartocciandolo nel pugno della mano. “Dicono che ci siano segreti dolci come il miele... ” iniziò, la voce flebile. “Mentre altri sono amari come fiele.” aprì di nuovo gli occhi e cercò il volto di Freya, cercò il suo sguardo. Cercò lo sguardo della donna oltre quel muro di ghiaccio che era tornato a schermarla. ¿Por qué Rubita? Velve a mì.
    Sospirò, stringendo ancor più il pugno senza sapere se volesse aggrapparsi a quel fiore, a ciò che significava o se volesse soffocarlo nel palmo, come la speranza che sentiva intermittente in quel momento. Dentro quel letto. Immobile. Eppure sentiva che niente era fermo, niente era più come prima.
    “I primi puoi permetterti di cullarli dentro te, perchè senti che una volta rivelati si sciuperanno...” Nemmeno loro. Nemmeno loro erano più le stesse.
    “I secondi li taci per evitare che agli altri il dolore, ma non riesci mai davvero a risparmiarglielo e finisce per corroborare tutto. Niente e nessuno escluso.” Chiuse ancora gli occhi.
    “I tuoi Rubita? - non voglio conoscerli, tranquilla, - Miele o fiele?” le chiese, ricercando di nuovo il suo sguardo, sollevando timidamente la mano verso di lei, sicura sta volta che si sarebbe scottata, che non avrebbe ritrovato il conforto del suo contatto. E timidamente le sorrise dopo quello che sarebbe potuto essere il vaneggiamento di una malata.

     
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    8DjFinT Doloroso.
    Non avrebbe saputo descriverlo altrimenti.
    Vedere Pilar stringere con mani tremanti quel fiore contro il suo petto e chiudere gli occhi abbandonandosi ad un’espressione turbata, la angosciò.
    Sapeva che quella era la conferma che poneva un impedimento a qualsiasi tipo di speranza. Il gesto che provava come la giovane Cervantes Murillo avesse una relazione della quale aveva tenuto all’oscuro le persone a lei più vicine. Per quanto ne sapesse Freya, in ogni caso.
    Ma nonostante l’evidenza schiacciante, la mente analitica della Schmid non poté trattenersi dal notare quell’aspetto sofferente che aveva trasfigurato il volto dell’Auror davanti a lei. Non c’era stata felicità o emozione quando le aveva preso il fiore dalle mani.
    Non aveva emesso un sospiro gioioso o sprigionato un sorriso divertito per la sorpresa.
    I suoi occhi si erano velati e dietro ad essi lei era sparita per qualche attimo, come se fare i conti con la realtà fosse stato troppo difficile. E quando era riemersa, aveva perso la leggerezza che l’aveva contraddistinta fino al momento precedente, anche mentre il dolore fisico le aveva impedito di muoversi.
    Dunque oltre alla fitta tagliente che Freya avvertiva all’altezza del petto, il sospetto si mosse rapido tra i suoi pensieri impetuosi, così come era sempre abituato a fare.
    Non voleva illudersi. Era consapevole del fatto che Pilar non avesse allontanato il fiore con indifferenza, magari spiegandole che si trattava di un regalo innocuo, ma l’agonia che aveva scavato nel suo sguardo non poteva essere un segnale rassicurante.
    Quando Pilar parlò nuovamente, la sua voce sembrò esprimere quella mancanza di tranquillità. Flebile, incerta, zoppicante. E i sospiri che l’accompagnavano, assomigliavano terribilmente alla brezza ghiacciata che precede una tempesta.
    Freya si ritrasse impercettibilmente, allarmata. Si sforzò di comprendere il discorso che Pilar aveva intrecciato, ma le sembrò quasi delirante. Era effetto di una febbre o della stanchezza, oppure si trattava di qualcosa di più profondo, più subdolo, che stava trattenendo tra le sue grinfie il cuore della Cervantes Murillo?
    Freya non era esperta di pozioni, ma aveva l’impressione che un veleno avesse permeato la sua consueta spensieratezza, oscurando i suoi occhi, intralciando la sua voce.
    Venne colta dall’impulso di scuoterla, di avvicinarsi nuovamente a lei, ma si trattenne. Si costrinse a rimanere immobile, per tutelare se stessa.
    Inclinò leggermente la testa di lato, in quel movimento che usava durante gli interrogatori per fingere interesse alle motivazioni e ingannare chi aveva davanti. Ma in quel momento l’intenzione non era affatto quella. Sembrava un gatto che esaminava un cucciolo spaurito.
    Aggrottò le sopracciglia, man mano che Pilar proseguiva con un discorso che aveva sempre meno senso, ma rispetto al quale Freya intuiva nutriva la convinzione che celasse qualcosa di più profondo.
    Cosa significava tutto quel ragionamento sui segreti? Cos’era che la giovane Auror più promettente del MACUSA nascondeva con tanta solerzia e che rischiava di nuocere a lei stessa e alle persone attorno a lei?
    Cosa temeva tanto da dover custodire con un segreto che la corrodeva?
    O forse, chi?
    -Pilar…-
    Freya sussurrò il suo nome a fior di labbra, senza curarsi di nascondere la preoccupazione, ma ignorando la mano che veniva protesa verso di lei.
    -Pilar, c’è qualcuno che ti sta facendo del male?-
    Sul volto le si dipinse un’espressione di intransigente allarme. La cosa più vicina che Freya Schmid potesse mostrare come coinvolgimento verso la situazione emotiva di un’altra persona.
    I suoi occhi di ghiaccio la scrutarono con un panico ingiustificato, per quella che era stata la loro relazione fino a quel momento.
    Forse la giovane procuratrice aveva mal interpretato il significato di quel fiore, forse era stato lasciato da un uomo con cui Pilar aveva, sì, una relazione, ma, a giudicare dalla reazione di lei, poteva essere violento o minacciarla in qualche modo.
    La Cervantes Murillo sembrava sempre emanare una determinazione e un’energia difficili da sopprimere, ma questo era ciò che solitamente attraeva gli uomini particolarmente violenti. Vedevano una minaccia negli animi femminili più forti, una sfida da superare e non si fermavano fino a che non l’avevano resa cenere.
    Forse Pilar aveva provato a scappare dal suo aguzzino e questo fiore, lasciato sul comodino mentre lei era convalescente, era una minaccia.
    La Schmid cominciò ad agitarsi.
    Sapeva che non avrebbe potuto essere sua amica, ma magari, solo per quell’occasione, solo per aiutarla ad uscire da una spirale che la stava risucchiando, avrebbe potuto essere la sua confidente.
    In ogni caso non sarebbe riuscita ad uscire da quella stanza, abbandonandola in quello stato. Tutti quei discorsi confusi sui segreti, avevano mostrato che qualcosa opprimeva l’animo dell’Auror e, per quanto il suo cuore fosse di ghiaccio, la parte che era riuscita a sciogliersi per Pilar, non si sarebbe tirata indietro, vedendola bisognosa.
    Raddrizzò il volto e il suo sguardo si fece infuocato, la sua voce perentoria, sfocata dalla preoccupazione che le attanagliava la gola.
    -Se qualcuno ti ha minacciata o sta usando un comportamento violento nei tuoi confronti, questo non è un segreto che va conservato. Devi denunciare questa persona e sono sicura che, qualsiasi cosa possa averti detto, non ha alcuna possibilità di realizzarla. Tuo padre non esiterà ad attribuirgli la punizione che merita. -
    Tornò ad avvicinarsi a lei, ma non osò cercare un contatto, sentiva che non c’era speranza per i suoi sentimenti. E non era nemmeno giusto gravare Pilar di quella responsabilità.
    -Se lo desideri posso scoprire chi è stato fatto entrare in questa stanza senza l’autorizzazione necessaria o se ci sono stati movimenti sospetti. -
    E se avesse scoperto chi era stato così carente nella sorveglianza, non avrebbe avuto pietà nel distruggerlo.
    Freya era ben consapevole delle sue capacità, della sua influenza e delle armi che aveva a sua disposizione per far sì che la giustizia compisse il suo corso.
    Ingoiò il nodo che le si era formato in gola e serrò la mascella per impedire agli occhi di inumidirsi.
    -Non devi affrontare tutto questo da sola. -
     
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    -Pilar…- Alzò gli occhi su di lei, sentendosi chiamare. Il tono della voce di Freya era distante dall'immagine che aveva assunto solo pochi attimi prima.Dime Rubita... la voce di Pilar non accompagnò quel pensiero, che rimase intrappolato in quello spazio fra la mente e la gola, dove andavano a fine i “non detti”.
    -Pilar, c’è qualcuno che ti sta facendo del male?- a quella nuova domanda tornò a distogliere lo sguardo, mentre la mano tesa si lasciava ricadere sulle lenzuola lentamente, così come a cadere fu l'illusione o la speranza di un nuovo contatto.
    C'era qualcuno che le stava facendo del male? Si ripeté quella domanda nella testa più volte, cercando una risposta... Ma trovava difficile rispondere ad una domanda fondamentalmente sbagliata. Non c'era nessuno che direttamente voleva farle del male o che materialmente gliene avesse fatto. Il male che si era ritrovata ad affrontare era molto diverso dall'idea di male che doveva essersi fatta la procuratrice Schmid.
    Il male contro cui si trovava a combattere, al quale doveva resistere con tutte le forze che aveva, era così profondo da averli già fatti a pezzi, ma non gli bastava. Voleva annientarli e combattere contro un veleno che s'era già fato strada lungo il sangue, compromettendo gli organi vitali era maledettamente complicato, maledettamente difficile.
    Quel veleno le portava via la speranza, e lei era lì a doverla alimentare, sprecando fiato, energie e cuore con le persone che più aveva amato al mondo, accettando di perdere qualcosa, ma non potendo accettare di perdere altro... Non più.
    Sentiva la voce di Freya lontana, mentre il suo sguardo lo sentiva bruciare sulla pelle. Sentiva quegli occhi scrutarla e cercare di indagare il suo animo turbato da un fiore. Un unico, fragile fiore... La sua mente fece un salto indietro, improvviso. Ed ecco che Pilar rivide se stessa nell'ingresso della loro casa in Texas: ricordò quella sensazione che vide dipingere l'espressione del volto della se stessa di quel momento. Ricordò di essersi sentita come se avesse attraversato per sbaglio uno spettro. Quella sensazione di freddo, paralisi e impotenza. Rivide Josè attraversare la stanza a grandi passi. Il volto contratto per la rabbia, negli occhio un'ombra che non gli aveva maiv visto prima. Tentò di fermarlo, ma lui la scostò bruscamente, senza guardarla. Invisibile. Ricordò il rumore sordo del portone che sbatteva. Il pianto di loro madre che lo chiamava per nome. La sedia rovesciata da Iago con violenza, per poi passarsi una mano sul volto. Suo padre immobile alla scrivania...
    Ed ancora, la casa in fiamme. Uno spettacolo terribile e terrificante che non aveva lasciato spazio a colori diversi dal rosso e dal nero della morte, non aveva lasciato spazio alla speranza. Rivide Iago tuffarsi fra le fiamme, seguito da loro padre e poi … L'ospedale. Le notti in ospedale, il funerale dei bambini... E quando alla fine Iago si svegliò...Irriconoscibile. Perso.
    -Dopo l’incendio, Iago ha sviluppato una condizione. La sua mente, per difendersi dal dolore, si è scissa in due. Da una parte c’è Iago, con la sua sofferenza e la sua angoscia, che cerca di rimettersi in piedi. Dall’altra parte… dall’altra parte c’è Ander. - Perso per sempre.

    Ricordi che si intrecciavano confusi, ma delineati nella sua mente e dai quali si sentì sopraffatta. Sentì il cuore prendere a battere sempre più velocemente, ma non nel modo in cui l'aveva sentito correre quando il viso di Freya era stato così vicino al suo da desiderare l'indesiderabile... Pilar riconobbe il modo odioso in cui il respirare iniziò a farsi difficile. Le era successo diverse volte, nel cuore della notte, svegliandosi da un incubo. Ricorrente, sempre lo stesso.
    Cercò di sollevare il busto, portando le mani sul materasso per sorreggersi. Gli occhi sempre più dilatati e così le narci e poi la bocca cercando disperatamente l'ossigeno che sentiva mancarle.
    “Yo... Yo no...” ansimò, “No puedo...” vide il volto di Josè, l'esperessione che aveva avuto durante la loro ultima conversazione... “Soy la...” quell'espressione che chiedeva aiuto senza parlare, senza volerlo... Aiuto per se stesso, per Iago... Per ciò che restava e che sembrava impossibile da riparare...
    Pilar sentì addosso la pressione, tutta insieme, di un compito che s'era presa sulle spalle senza che nessuno gliel'avesse affidato. Un compito che sentiva di essere la sola a poter assolvere, poiché il resto della sua famiglia procedeva a tentoni nel buio dell'orgoglio e della ragione.
    “la ùnica que puede salvarlos...” Stava singhiozzando. Sentiva le spalle sussultare e le lacrime iniziare a scenderle lungo il viso. Non ebbe più la forza di frenarle. Avrebbe voluto solo lasciarsi andare, ma sapeva che non poteva farlo... Era lo scotto da pagare, credeva, per poter assolvere al compito che l'era piombato addosso.




     
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    Freya non si rese subito conto di ciò che stava succedendo.
    Ancora troppo concentrata sulle spirali emotive a cui non era abituata e in cui la mente sembrava intenzionata a trascinarla, la Schmid aveva temporaneamente abbandonato la sua capacità di analisi e si era abbandonata ad una rabbia e ad una paura che si era ripromessa di non provare più.
    Dopo che la sua famiglia era stata devastata e strappata alla sua terra natia, aveva rafforzato in se stessa la convinzione che certi tipi di sentimenti fomentassero la debolezza di una persona.
    E Freya non aveva alcun interesse nell’essere debole.
    Non poteva permetterselo.
    Aveva preso sulle spalle la propria famiglia e aveva trovato il modo di traghettarla fuori dal panico che aveva rischiato di divorarla.
    Ma mentre lei si era ritrovata ad avere una forza necessaria e imposta, i suoi genitori, coloro che avrebbero dovuto proteggere lei e sua sorella, erano crollati, sobbarcando a Freya anche il dovere di prendersi cura di loro.
    Si riscosse solo quando notò lo sguardo di Pilar farsi vacuo, desolato, annebbiato dai ricordi.
    Quella sorta di alienazione la conosceva bene. L’aveva vista in sua madre ogni giorno, da quando erano giunti a Washington.
    Vedendola così, Freya seppe di aver valutato erroneamente la reazione della Cervantes Murillo. Non avrebbe saputo spiegarne il motivo, ma si fece strada nel suo ragionamento l’ipotesi che il suo turbamento non avesse niente a che fare con una motivazione sentimentale.
    Era stata confusa dalla sua preoccupazione personale, dall’angoscia di poter essere rifiutata a causa di un amore già esistente.
    Strinse gli occhi a due fessure, indecisa se richiamare Pilar da qualunque luogo nel passato in cui fosse sprofondata o se lasciarle del tempo per elaborare ciò che sentiva.
    Divisa tra la fretta di vederla tornare a sorridere e la consapevolezza che nella sua vita serpeggiavano oscurità che non aveva senso negare, Freya esitò. Pilar Cervantes Murillo non sembrava necessitare consigli su come affrontare le sue battaglie.
    Abbassò lo sguardo sulle mani di lei, pesantemente appoggiate sul lenzuolo bianco e si lasciò avvicinare dal pensiero che le sarebbe piaciuto essere la persona con la quale avrebbe potuto condividere quei pesi che le schiacciavano il cuore.
    Ma le carte in tavola vennero scombussolate quando Freya avvertì il mutare del respiro della giovane Auror.
    Il volto scattò nuovamente verso l’alto, gli occhi grigi cercarono freneticamente quelli scuri dell’altra, senza trovarli.
    Qualcosa non andava, il monitor che controllava i parametri vitali di Pilar iniziò a suonare freneticamente, man mano che aumentava la difficoltà di lei nel trattenere aria all’interno dei polmoni.
    Freya sentì i palmi delle mani iniziare a sudare, mentre anche il suo respiro accelerava al ritmo con quello di Pilar.
    La vide cercare di alzarsi per combattere quella sensazione opprimente e ignorare il dolore alle ferite che doveva evidentemente provare nel compiere quei movimenti.
    Con il cuore che fremeva tumultuoso nel petto, la Schmid si raddrizzò sulla sedia e cercò disperatamente un modo per chiamare aiuto. Qualcuno sarebbe arrivato ad assisterla, giusto?
    Avrebbero sentito suonare quell’apparecchio diabolico che non smetteva di martellare nelle orecchie insieme al battito incalzante della sua pressione in aumento.
    Si alzò dalla poltrona e si avvicinò al letto, con le gambe tremanti per la paura, indecisa se correre fuori dalla stanza per cercare un’infermiera.
    Ma mentre Freya implorava silenziosamente un intervento esterno e lanciava gli occhi disperatamente per la stanza, senza sapere cosa fare, incrociò lo sguardo di Pilar e sentì tutta la forza vitale scivolarle dalle braccia.
    Per un attimo rimase immobile, mentre osservava le lacrime scendere impotenti lungo le guance.
    Poi l’amarezza della situazione le piombò addosso come un macigno insostenibile.
    Sapeva esattamente cosa stava succedendo.
    Mentre Pilar farfugliava spezzoni di frasi in una lingua che lei non comprendeva, Freya si avvicinò al suo letto e si sedette sul bordo, rivolta verso di lei.
    Dopodiché si chinò nuovamente sulla Cervantes e, incurante di tutte le precauzioni dei medimaghi e della sua imposizione di qualche minuto prima di starle lontano, la circondò con le braccia attorno alla schiena, la aiutò a tirarsi su a sedere, con una forza che non credeva di avere, spinta dall’urgenza della situazione, e la strinse a sé con un movimento rapido ma delicato, che ormai conosceva fin troppo bene.
    Sospirò pesantemente contro la spalla di Pilar, mentre cercava forsennatamente di scacciare dalla sua mente l’immagine della ripetitività con cui aveva compiuto quel gesto per sua sorella minore, tutte le volte che l’aveva sentita gridare nel sonno da quando erano scappati dall’Europa.
    Aveva perso il conto delle notti che si era precipitata nella sua stanza e l’aveva trovata incapace di respirare, gli occhi fissi nel vuoto, il corpo paralizzato, a invocare il nome del loro fratello perduto.
    Poggiò una mano ferma sulla schiena di Pilar, di modo da aiutarla a rimanere in posizione, e l’altra la portò sulla sua nuca.
    -Calma, Pilar, calma. -
    Le sussurrò all’orecchio.
    Con una delicatezza che riservava solo a Myriam, iniziò a carezzarle i capelli, passando le dita tra le folte ciocche scure.
    -Sei al sicuro. Respira piano. Fai entrare l’aria dal naso e portala fuori dalla bocca. Piano. Insieme a me.-
    Respirò vistosamente, proprio come faceva con la sua sorellina minore quando il panico la divorava, di modo da accompagnarla a fare altrettanto.
    Modulò la sua voce bassa, suadente, melodica, per trasformarla in una guida da seguire, una traccia a cui aggrapparsi.
    Sapeva che Pilar non era estranea a questo tipo di ascolto, glielo aveva dimostrato alla villa Cervantes, mentre erano sedute su un prato a cercare le stelle e anche qualche evasione dalle regole.
    -Qualsiasi cosa ti affligga, respirala via dal tuo corpo, non è questo il momento per pensarci. Portala fuori e concentrati solo sul respiro. Lentamente e profondamente.-
    Aumentò la stretta sulla sua schiena, per farle sentire la corporeità di quel gesto, mentre le lacrime della Cervantes le bagnavano i vestiti, e continuò a passarle la mano tra i capelli, in un gesto ritmico e rassicurante.
    Adesso aveva la sicurezza ineluttabile di come quel contatto la devastasse. Lo bramava come l’acqua in una giornata assolata, ma al tempo stesso era consapevole di quanto avrebbe potuto essere deleterio.
    Eppure in quel momento, non c’era nient’altro da fare se non stringerla a sé.
     
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    Il controllo non era mai stato una sua priorità, anzi. Fin da bambina aveva intuito che doveva trattarsi di un'aspettativa sopravvalutata, che richiedeva uno sforzo incomprensibile nel comprimersi in uno spazio limitato. Pilar non voleva dover vivere uno spazio limitato. Eppure tutto ciò che avrebbe voluto in quel momento era essere contenuta. Qualcosa che la compattasse, stringesse facendole percepire di nuovo i rassicuranti confini di se stessa.
    Quel disperato bisogno d'aria era bisogno di argini a cui potersi reggere per non annegare fra le rapide di quel tumultuoso fiume che erano diventati i suoi ricordi. Ricordi che si intrecciavano alle immagini della sua famiglia, ai volti dei suoi fratelli che non erano più come li ricordava... E quel fiume era fango, detriti rocciosi, tronchi e macerie e stava trascinando via ogni certezza, ogni speranza. Pilar vedeva d'avanti a sé, con angoscia crescente, la cascata nel vuoto dove tutto sarebbe finito e non riusciva a smettere di piangere.
    E poi quel fiume trovò argine.
    Inaspettatamente, ancora una volta. Pilar si sentì stringere con delicata fermezza. Un abbraccio, saldo come l'argine di cui sentiva bisogno.
    -Calma, Pilar, calma. -
    Inconfondibile, la voce di Freya le arrivò alle orecchie e non sembrava più essere lontana. Era vicina in modo rassicurante e quel abbraccio era suo. Il corpo che Pilar iniziava a percepire con maggiore coscienza, poco alla volta, che la stringeva era quello di Freya. Le mani, le braccia, le spalle, ed i capelli... -Sei al sicuro. Respira piano. Fai entrare l’aria dal naso e portala fuori dalla bocca. Piano. Insieme a me.- Fu in quel momento che Pilar s'aggrappò a lei, stringendola contro sé con forza. La forza disperata e sollevata del bisogno di sentirla vicina, di sentirsi vicina a lei, che attraverso quel contatto le stava restituendo forma e respiro.
    Pilar nascose il volto contro il collo di Freya, mentre le dita delle mani si stringevano sulla sua schiena, decise a non lasciarsi scivolare via. Respirò e il profumo della sua pelle, nello spazio esiguo fra i loro corpi, le restituì l'aria che l'era mancata.
    -Qualsiasi cosa ti affligga, respirala via dal tuo corpo, non è questo il momento per pensarci. Portala fuori e concentrati solo sul respiro. Lentamente e profondamente.-
    La pelle di Freya aveva il profumo fresco e delicato della camelia. Aveva sentito quello stesso profumo quella sera sul prato... la rugiada che bagnava l'erba non era riuscita a soffocarne la fragranza leggera. Quel ricordo, vivido e vicino, diede ritmo al suo respirare. Pilar sentì il proprio cuore rallentare, smettere di rimbombarle nelle orecchie. Le lacrime smisero di uscire dagli occhi e le dita si rilassarono sulla schiena di Freya. Sentì tutto il proprio corpo rilassarsi, dopo una grande, spaventosa tensione. Inspirava il suo profumo ed espirava via l'angoscia, piano, contro la pelle del collo di Freya, senza smettere di stringerla e assaporando la sensazione delle sue carezze fra i capelli.
    Calma.
    La sensazione benefica di un bagno caldo.
    Il ricordo della brezza leggera di quella sera distese sull'erba. Dell'attimo prima che l'ordine la richiamasse a sé.
    No la escuches si te llama ahora, Rubita.
    Quédate conmigo...



     
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