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cajus

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    "Per il bene superiore." C'era qualcosa di estremamente riecheggiante in quella frase, ma le voci d'eco che si sovrapponevano avevano tutte timbri diversi, distinti, ben rimarchevoli dell'ampia diffusione di quell'idea. Mi pareva a volte che la stessa sagoma di mio padre si incastrasse perfettamente a quella di chi era assai più grande di noi. I loro contorni combaciavano, accendendosi di toni che lasciavano presagire cosa sarebbe spettato a me, al mio futuro costretto a plasmarsi sotto mani non mie, sotto volontà che non mi appartenevano. Ed io, fantoccio perfettamente costruito, lasciavo che quelle dita mi riprogrammassero com'era meglio, giusto, che fosse.
    In quella gelida atmosfera, sempre visualizzata in un'ottica di solitudine che mi ha costantemente proiettato verso un isolato avvenire, ebbi però incredibilmente modo di condividere parte di quel peso con qualcuno. Di calpestare gli stessi ciottoli di formazione agli albori al fianco di altri passi. Di provare, anche solo per pochi istanti, la sensazione di non essere realmente sola ed unica vittima in quel rito che non avevo mai scelto, se non sotto contorte costrizioni ben impiantatesi nel mio cervello. Credevo di volerlo, ma era realmente così? Mi chiesi se altri, come me, vivessero in quel limbo di dubbi. Chi è che aveva scelto? E chi invece non aveva avuto scelta? E Cajus, palesatosi lì nei dintorni con mio estremo stupore, aveva scelto per sé quell'imperversante prospettiva?
    Visualizzare il Kraus fu in ogni caso il ripetersi di una sensazione che spesso contornava la sua figura. Sollievo. Una flebile boccata d'aria nel constatare ci fosse un mio simile ad affrontare l'ignota natura di quell'incontro deciso da altri. E non mi era simile solo per l'età, i colori della divisa indossati o altre frivolezze di tal genere. Era qualcosa di più profondo, impercettibile a qualsiasi occhio e forse persino ai nostri, che legava le nostre storie sovrapponendole più di quanto non fossimo in grado di comprendere noi stessi. In fondo, quel fortuito incontro a Nurmengard non ne era una palese dimostrazione?
    Ebbi modo di avvicinarmi. Freddo, calmo, a tratti persino più rigido che tra le mura del castello. Avevo occhi puntati su di me, ne ero consapevole. Ed ogni occhio che carezzava la mia figura, si sarebbe trasformato in una bocca pronta a scagliarsi contro le orecchie di mio padre. 'Sei qui per lui?' Un sussurro, ma pregno del rispetto che ci era imposto di servire a Grindelwald. Non sarebbe stato necessario specificare a chi le mie parole si riferissero. Le motivazioni che portavano i maghi all'ingresso di quell'isolata roccaforte potevano essere solo due: prigionia o iniziazione. E nessuno dei due aveva catene allacciate ai polsi, né bacchette puntate alla testa.
    'Tua scelta?' Sorvolai ogni convenevole per tuffarmi in quella velata richiesta. Ancora una volta, cercai di tastare le similitudini che potessero inconsciamente aiutarmi a patire meno il peso della solitudine. Il mio volto dimostrava in ogni caso la serenità che giocava un ruolo fondamentale nella mia copertura. Le vene tese delle mie mani, appositamente nascoste tra le tasche della giacca, avrebbero tradito quella finzione.
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