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    [Ander]
    Riaprì gli occhi con uno scatto. Non ricordava nemmeno quando li avesse chiusi e questo non era insolito per lui. Ander aveva un rapporto complicato con il sonno. A volte sentiva di non dormire abbastanza, a volte sentiva di dormire troppo. In ogni caso questo non lo limitava dall'intraprendere la sua vita notturna. Era raro infatti che uscisse durante il giorno. La sua era una vita celata dalla notte e dal silenzio. Si muoveva come un fantasma in quel mondo di cui non si sentiva parte ma di cui era al contempo l’unico indiscusso burattinaio. Era difficile spiegarlo a se stesso, ed era per questo che non lo faceva, ma si sentiva sempre come se la sua presenza lì fosse momentanea e lui, intangibile. Aveva un corpo che poteva sentire, ma era un corpo a metà. La sofferenza spariva dopo il sonno ed il suo riposo era privo di sogni. Era come essere chiuso in una scatola e tornare alla luce quando gli veniva concesso di riaprire gli occhi. Era chiaro ci fossero dei dettagli che non tornavano nella propria esistenza, ed era questo il motivo per cui segretamente li raccoglieva, cercando di capire cosa gli capitasse realmente. In quel momento però non era quello il suo obiettivo. Tiratosi in piedi e liberatosi delle catene che lo tenevano bloccato al letto evitandogli gli episodi di sonnambulismo di cui era affetto, raggiunse la sedia accanto alla finestra della stanza in cui era. Lì, nascosto dietro una tenda polverosa, raccoglieva dettagli su un obiettivo scelto per la messa in atto del piano di Grindelwald. Un piano di cui ovviamente nè lui nè il suo compagno presumibilmente, erano stati informati fin nel dettaglio. Ciò che Ander sapeva si limitava al dover cercare un componente influente del ministero inglese e convincerlo a plasmarsi a ciò che Grindelwald avrebbe chiesto lui.
    Privo di novità e amareggiato per questo, si vestì velocemente, raggiungendo il collega nel punto prestabilito, il cimitero di Godric’s Hollow. Lì sull’uscio attese qualche attimo prima di sentire il suo claudicante compagno avvicinarsi. “Sei quasi in ritardo.” Per qualche ragione l’antipatia era reciproca e Ander non mancava di mostrarlo con frasi pungenti. Non conosceva affatto quell’uomo, ma tra le fila dei seguaci di Grindelwald non era insolito nascessero delle inimicizie figlie di gelosie. Immaginava che quel ragazzo ce l’avesse tanto con lui per il fatto che Grindelwald lo avesse messo a capo di quella missione. O almeno era quello che gli era stato fatto credere. Lui però non aveva tempo da perdere in quelle faide da bambini. I suoi obiettivi erano altri. “Ho esaminato il soggetto.” Spiegò velocemente, indirizzando il proprio sguardo sull’altro. “Attaccarlo equivarrebbe a gettarsi in una missione suicida. E’ controllato h24 da alcuni tra i più noti agenti speciali nel nostro settore: Wood, Favour e Olmegor. Nessuno di loro è corrompibile. Attaccarli è fuori discussione. Avvicinarsi a lui è impossibile.” Conosceva ognuno di loro e ricordava di averci lavorato insieme, in una vita passata. Non si domandava il perchè, non fino in fondo. “Quindi a meno che tu non sia venuto pronto ad esporre il piano geniale nascosto sotto il pomello del tuo bastone siamo ad un punto muerto.” Quelle parole, in quella lingua, uscirono dalla sua bocca senza freno. Non era raro nell’ultimo periodo che dettagli nuovi si confondessero alla sua figura con estrema facilità.



     
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    L’incalzante rumore ritmico del bastone sul selciato, si propagava con un inquietante rimbombo tra le tombe del cimitero di Godric’s Hollow.
    Alcuni corvi particolarmente amanti della sera, gracchiavano per chiamarsi, in un concerto agghiacciante e spettrale.
    La luce della luna, non ancora completamente piena, creava giochi di ombre che non facevano altro che rafforzare quella sensazione di essere in un luogo in cui non eravamo noi a comandare.
    Nei cimiteri, i no-mag entravano con devozione e rispetto, a piangere i propri cari perduti. Scambiavano brezze sottili o rumori inaspettati come segni della presenza di creature soprannaturali.
    Noi maghi e streghe sapevamo che, alcune volte, avevano ragione.
    I cimiteri non erano certo tra i luoghi più infestati, solitamente i fantasmi preferivano rivivere nei luoghi in cui erano stati felici e stimati in vita, non certo quelli in cui erano compianti da morti.
    Ma alcuni, particolarmente drammatici, godevano nel vedere i propri familiari distruggersi su lapidi e bare sepolte. Contavano quante volte venissero cambiati i fiori, o quanto fosse curato il luogo in cui il loro corpo riposava.

    Lui era già li.
    La postura militare di Iago non lo aveva abbandonato, così come lo sguardo serio e irrigidito dalla disciplina e dal dolore.
    Ricacciai indietro un groppo alla gola.
    Non mi sarei permesso momenti di scompenso, nonostante la sua vicinanza fosse una tortura. Grindelwald si fidava di me, confidava nel fatto che Ander sarebbe stato fondamentale per la riuscita del nostro piano. E io ero sicuro che il mio Maestro sapesse quali fili tirare in quello spettacolo ancora non completamente chiaro.
    Lo salutai con un cenno frettoloso del capo, ignorando la sua provocazione. Che necessità aveva di specificare che io fossi “quasi” in ritardo?
    Ma non potevo permettermi di infastidirmi subito per qualsiasi frase avesse pronunciato quella notte. L’uomo che avevo davanti a me era un seguace, dovevo considerarlo tale, non c’era niente di più.
    Il fatto che condividessimo il medesimo cognome insolito, e che avessimo attraversato l’infanzia e la vita insieme, non dovevano essere rilevanti.
    Mi limitai a rivolgergli una lunga occhiata penetrante, gli occhi azzurri ghiaccio covavano un’espressione di insofferenza.
    Sembrò capire che non avrei risposto alla sua provocazione perché iniziò subito a discutere di ciò che concerneva il nostro piano.
    Avevamo deciso di avvicinarci, sfruttando la vita di Iago, ad un membro influente del Ministero inglese. Nello specifico, questo soggetto era il vice- Ministro Edward Habbot, un uomo di circa cinquantacinque anni, alto e spigoloso, con una brizzolatura ben più importante di quanto avrebbe voluto.
    Tra gli uomini che gravavano attorno al Ministro inglese, Habbot era stato tra i più rigorosi e dediti alla Cooperazione internazionale. Aveva partecipato all’aggiornamento dello statuto di segretezza e aveva sempre dimostrato una particolare propensione verso i no-mag.
    Fino a qualche settimana prima.
    Quando la nipote, di appena sette anni, la gioia dei suoi occhi e del suo cuore, era stata brutalmente uccisa, davanti agli occhi del fratello più grande, da un gruppo di uomini no-mag, perché l’avevano vista sollevare un sacchetto di dolciumi verso di lei.
    Il clima di terrore che gravava sulla comunità magica non era più gestibile, ed era arrivato il momento che tutti si rendessero conto delle ragioni del pensiero di Grindelwald.
    Ascoltai la descrizione delle sue analisi, e annuii, fingendomi d’accordo. Certo, lui aveva scandagliato come approcciare il vice- ministro in maniera ufficiale e convenzionale. Tipico di Iago.
    Ma il mio compito era pensare fuori dagli schemi.
    Avvertii il suo tono accalorarsi, per lui erano possibili solo due strade: l’attacco o la corruzione. Come per quello che era stato mio fratello, c’erano solo il bene o il male, scelte giuste o scelte sbagliate. Bianco o nero. Non erano ammesse vie di mezzo. Non era ammessa la sofferenza del tradimento.
    Puntai lo sguardo sulla costruzione di una tomba vicino a noi, doveva essere appartenuta ad una famiglia importante, perché aveva una struttura monumentale, con due grandi aquile che ne proteggevano l’ingresso e coloro che giacevano all’interno, perché non venisse disturbato il loro sonno.
    -Quindi a meno che tu non sia venuto pronto ad esporre il piano geniale nascosto sotto al pomello del tuo bastone, siamo ad un punto muerto.-
    Il mio volto scattò verso di lui, con un gesto di urgenza angosciata ed incredula. Piantai gli occhi azzurri e sgranati dentro quelli scuri di lui, una ruga profonda che solcava la mia fronte.
    Cosa aveva appena detto?
    Un brivido mi attraverso la schiena.
    Strinsi fremente il pomello del bastone, mentre studiavo attentamente l’espressione dell’uomo di fronte a me.
    Perché Ander, che in teoria non doveva ricordare niente della sua vita precedente, a parte il fatto di aver perso la sua famiglia in un tragico incendio, adesso iniziava a parlare con la lingua che era stata quella di casa Cervantes Murillo? Quella lingua che avevo sentito pronunciare di recente solo a nostra sorella, perché particolarmente affezionata e nostalgica.
    Quella lingua che era stata il nostro modo di comunicare nei momenti di affetto e di discussione, quella che era sempre venuta fuori quasi incontrollabile, più vera di quella ufficiale.
    Che cosa stava succedendo dentro la testa dell’uomo che avevo di fronte e che un tempo avevo considerato il mio punto di riferimento, la mia bussola?
    Man mano che osservavo la sua espressione farsi più confusa, ammorbidii inconsciamente la mia per un attimo, ma quando mi resi conto di ciò che stava accadendo, tornai a farla diventare una maschera rigida.
    Per fare ciò che ci stavamo preparando a fare quella sera, non erano ammissibili momenti di crisi.
    -Ander, le tue analisi sono estremamente giuste e accurate, non c’è modo di avvicinare il vice-ministro passando da dei canali prestabiliti. -
    Scossi brevemente il capo.
    -Ma c’è un motivo se ci siamo incontrati qui stasera, e non è solo per godere della compagnia di chi riposa qui dentro.-
    Mostrai con un rapido gesto della mano sinistra alle tombe che ci circondavano.
    Mi avvicinai ad Ander e il mio tono si fece più conciliante, ammaliatore, ma senza esasperazione.
    -Il signor Habbot ha subito un grave lutto da poco tempo, un lutto dal quale ancora non si è ripreso. La nipotina è stata uccisa dai no-mag, perché inconsapevolmente ha avuto una manifestazione di magia nel mezzo di una piazza.
    E questa bambina viveva proprio nel paesino in cui ci troviamo adesso.
    Suo nonno visita la sua piccola tomba ogni sera, dopo il calar del sole. Solitamente viene accompagnato solo da una guardia del corpo, quando non riesce a muoversi da solo. Il dolore ha bisogno di mostrarsi in privato. -

    Mi appoggiai al bastone, per sporgermi ancora verso il mio collega, e accennai con lo sguardo al sentiero che conduceva alle tombe delle famiglie ricche, appena oltre il cancello davanti al quale ci trovavamo. Imposi al mio tono di non tremare.
    -Mi sembra di capire, che abbiate molte cose in comune di cui parlare.-
    Dovetti fare appello a tutte le mie forze per rimanere concentrato e allontanare il ricordo delle piccole mani delicate di Ana che passavano sul mio volto, così diverso da quello di suo padre e di sua zia, e del suo sorriso che si apriva, ad incontrare il mio sguardo.
    Ero veramente diventato un mostro senza scrupoli, capace di qualsiasi atrocità, quando vi era la necessità di raggiungere uno scopo.
     
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    Il silenzio che ne seguì fu lungo ed intenso. Josè l’aveva colpito con infamia lì dove Ander non si sarebbe aspettato. Non avrebbe dovuto dirsi sorpreso, eppure in qualche modo e per qualche ragione lo era. Era stupido aspettarsi rispetto - comprensione forse ? - da una persona che non conosceva e che occupava quel ruolo tra le fila di Grindelwald ma l’immotivata familiarità provata lo aveva per un attimo illuso.
    La cosa peggiore del ferirlo era il modo in cui sentiva di reagire. Si innescava in lui un meccanismo di difesa che prevedeva un feroce attacco, quasi come se ferire di rimando chi aveva osato colpirlo diventasse un compito e proteggere se stesso fino allo stremo fosse un ruolo a cui non poter sottrarsi. Era chiaro dunque che quel silenzio che seguì fu solo il preambolo di qualcos’altro. Distolse per un attimo lo sguardo, passando due dita sul mento in un’espressione pensosa. Solo poco decise a muoversi verso l’altro. “Chiariamo una cosa, Josè.” Passo dopo passo, lo raggiunse, fronteggiandolo. Lo sguardo duro e cupo si incatenò al suo. “Io non sono uno degli inetti che ti girano intorno al castello.” Il suo tono era diverso. Più basso, più roco, persino più deciso. L’uomo che l’altro aveva dinanzi, era rivestito di pericolosa cattiveria e rabbia repressa. “Non voglio essere come te o migliore di te. Le faide in cui sei coinvolto sono ragazzate di cui non voglio far parte.” Non mentiva. Non aveva alcun interesse a scalare i gradi di quell’assurda gerarchia venutasi a creare tra le fila di Grindelwald. Lui era lì per un motivo ben preciso. Tutto il resto era futile. Stupido come chi impegnava il suo tempo a mostrarsi migliore del proprio compagno di squadra, per puro diletto. Pessimo modo di collaborare e portare a casa un buon risultato. “Quindi ecco, tienilo a mente. Perchè la prossima volta che sceglierai per me senza consultarmi…” Indietreggiò a quel punto solo di un passo. Poi, dal nulla, indirizzò un colpo col piede al bastone al quale si reggeva con tanta forza, nella speranza di fargli perdere l’equilibrio. “Non sarà piacevole.” Un avvertimento ben chiaro. Qualora una cosa simile si fosse ripetuta, le ripercussioni sarebbero state ben diverse e molto dolorose.

    Avevano atteso nell’ombra ed in silenzio. Quell’ambiente alimentava il suo pessimo umore. Non ricordava più l’ultima volta che aveva messo piede in un cimitero ma gli era chiaro fosse passato senz’altro molto tempo. Non aveva più rivolto una sola parola al suo collaboratore, nè gli aveva rivolto uno sguardo. Il suo interesse era tutto per la tomba poco distante e per ciò che avrebbe potuto dire all’uomo designato per convincerlo senza violenza. Un compito ben difficile viste le sue abilità più fisiche che d’eloquenza.
    Quando il viceministro comparve oltre le lapide raggiungendo quella della nipote, si preparò ad entrare in scena. Con un gesto della bacchetta, fece comparire un dono per quella piccola lapide. Un peluche dalla forma particolare. Un coniglio.
    Si avvicinò all’uomo e alla tomba, poggiando quel dono contro di esso. Poi, mani unite e sguardo basso, si concesse qualche attimo di silenzio. “Mia figlia ne aveva uno simile. La aiutava a dormire.” La facilità con cui quella rivelazione fluì dalla sua bocca, palesava la sua sincerità. C’erano dettagli della sua vita passata che non ricordava e che tornavano poi alle sue labbra e alla sua mente come un lampo, stordendolo.
    “Non andrà meglio. Il tempo non cura le ferite. Ogni giorno ti svegli sperando sia diverso ed invece non cambia mai nulla. La realtà diventa sempre più tangibile e soffocante. Ci sono giorni in cui desidererai di morire perchè dentro è così che ti senti.” Sapeva esattamente di cosa parlava, nonostante avesse sempre represso il dolore provato. Non si era mai concesso una lacrima da che era nato. Ander non piangeva. Non serviva. Lui il dolore lo combatteva nell’unico modo conosciuto: il sangue e la vendetta. “So che i no-mag responsabili sono sotto mandato d’arresto. Immagino presto o tardi saranno presto. A nessuno piacciono gli assassini di bambini.” I media locali babbani e magici ne avrebbero tirato su una bella storia di gossip di cronaca nera. Le curiosità oscene di persone senza scrupoli sarebbero state soddisfatte e tutto sarebbe caduto nel dimenticatoio. Tutto tranne il dolore delle persone interessate. A quello nessuno più avrebbe posto attenzione ma sarebbe rimasto. Sempre.
    Sciolse la sua posizione, guardando l’uomo al suo fianco per la prima volta da quando gli si era avvicinato. Il buio copriva il suo volto per metà, lasciando intravedere la durezza dei suoi lineamenti. “Il punto, signor Habbott, è che non sono loro i veri colpevoli.” Scosse il capo, voltandosi di nuovo verso quella lapide e quel nome e quel pupazzo. “Ma la sua politica lassista nei confronti di coloro che le hanno portato via sua nipote.” Quella lapide, quel peluche, accesero qualcosa nella sua testa che prese a girare. E d’improvviso i suoi occhi videro mutare il nome inciso nella pietra in Ana. In occhi spalancati e vuoti sotto un fumo cocente.
    Si interruppe dal suo dialogo con il vice ministro Habbott, indirizzando il suo sguardo verso un punto buio in cui sapeva esser nascosto qualcuno che avrebbe dovuto aiutarlo e prendere il suo posto.




     
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    Mi distraggo a fissare le gambette sottili di mio nipote che ondeggiano nervosamente dal bordo della sedia grigia.
    L’ambiente asettico è scaldato dal colore giallo con cui sono state dipinte le pareti, e da alcuni dipinti di donne incinte che si accarezzano la pancia, circondate da onde e fiori.
    Sono ormai diverse ore che siamo seduti in quel corridoio, in attesa.
    A turno abbiamo accompagnato Remi nel parco fuori dall’ospedale, cercando di sviare i suoi pensieri di bambino da ciò che sta effettivamente succedendo al di là di quella porta che non possiamo aprire. Che non possiamo tassativamente valicare.
    Una porta che contiene un universo misterioso.
    L’ospedale di Washington pare sia uno dei migliori, all’avanguardia, concedono persino ai padri di assistere al parto, sembra che sia un comportamento destinato a diffondersi.
    Scuoto la testa pensieroso.
    L’ultima cosa che vorrei fare sarebbe quella di assistere alla nascita di una creatura in mezzo al sangue e alle urla.
    Ogni tanto una di esse ci raggiunge, facendoci tremare nelle ossa. Cosa sta succedendo?
    -Vuoi provare a dormire un po’, magari appoggiando la testa qui sulle mie gambe?-
    -No, tio, grazie. Aspetto Mami.-
    Avverto un groppo alla gola, mentre lo osservo. Così simile a Iago, un soldatino preciso e diligente, mentre di solito non fa altro che creare confusione. Dev’essere proprio allarmato dalla situazione incomprensibile che sta vivendo.
    -Sai, Remi, una sorellina non è affatto qualcosa di negativo nella tua vita, anzi.-
    Sollevo appena lo sguardo complice su Pilar che ovviamente si è avvicinata, pronta a lanciare qualche commento sarcastico.
    -Con il tempo può rivelarsi la tua migliore amica.-
    -Ah, Remi, anche essere un fratello maggiore non dev’essere male, soprattutto se tua sorella assomiglia alle donne di questa famiglia.-
    Commenta lei, lo sguardo divertito che scorre da me al bambino. Si accuccia davanti a lui e gli mette le mani sulle cosce.
    -Tu però, dovrai impegnarti ad essere un po’ meno rigido di tuo zio Jose.-


    Scossi violentemente la testa per cercare di cacciare quei ricordi dagli occhi. Come se fosse così semplice cancellare una vita di ricordi.
    Ci avevo provato.
    Ma la vicinanza di Iago, per quanto non fosse veramente lui in possesso del suo corpo al momento, mi suscitava una sensazione di rancore e amarezza, difficili da ignorare.
    Strinsi nella mano la boccetta di pozione Polisucco, la tirai fuori dalla tasca del mantello, svitai il tappo e ne bevvi un lungo sorso.
    La ben conosciuta sensazione di nausea sembrò bloccarmi il respiro in petto. Avvertii gli occhi bruciare e la gola esplodere, nel tentativo di ribellarsi a quell’ennesima forzatura di fattezze.
    Ma era necessaria. Non avrei potuto aiutare Ander nel suo compito con il mio canonico aspetto. Sicuramente il viceministro Habbot, come tutti i diplomatici europei, avevano ricevuto segnalazioni dal Ministero statunitense, riguardo al pericolo correlato alla mia persona.
    La mia pelle cominciò a crepitare in maniera inquietante e delle bolle si formarono dove iniziava la trasformazione.
    Avevo scelto, per l’occasione, un commerciante che si spostava spesso da Godric’s Hollow a Londra, per vendite di orologi pregiati. Era un individuo anonimo, ma mi avrebbe dato la possibilità di avvicinarmi ai due conversanti con più facilità.
    Inoltre anche lui aveva un caro amico sepolto in quel cimitero, e deceduto in circostanze misteriose. Ma in ogni caso la sua presenza in quel luogo non sarebbe stata sospetta o inopportuna.
    Alla tenue luce della luna vidi le mie mani farsi più robuste e tozze, e ricoprirsi di una peluria scura. Il mio corpo divenne più largo e più corto, i vestiti che avevo indossato fortunatamente erano un po’ più abbondanti, in previsione dell’occasione.
    Ma soprattutto, come succedeva in quelle occasioni, avvertii il dolore usuale e abitudinario alla gamba farsi sempre più lieve, fino a sparire completamente.
    Puntai la bacchetta al bastone.
    -Reducto.- sussurrai, e quello che era diventato il mio strumento di appoggio, divenne piccolo come una penna, riponibile facilmente in una tasca del mantello scuro.
    Sospirai mentre ripensavo alla scena avvenuta poco prima. A come Ander avesse studiato il momento, si fosse preparato con frasi taglienti e aggressive. E la situazione aveva raggiunto il suo culmine quando quello che un tempo mi aveva sostenuto nei primi passi durante la mia infermità, aveva dato un calcio al bastone che mi sorreggeva, facendomi perdere l’equilibrio.
    Non era la stessa persona. Continuavo a dimenticarmelo. Cosa era successo all’uomo che si era seduto al mio capezzale e mi aveva convinto ad alzarmi e a cercare di riprendere la mia vita?
    Sapevo benissimo cosa gli fosse successo. Era inutile negarlo. Ero uno dei pochi a conoscenza di questo segreto. Sapevo che Iago non era presente in quel momento, ma comprendevo anche che Ander fosse una produzione della sua mente, un individuo volto esclusivamente a vendicare cosa fosse successo alla sua famiglia. Era rabbioso, devastato e senza scrupoli. Ed era convinto che il mio astio fosse dovuto a qualche sciocca faida interna, che io volessi scavalcarlo per avere più potere davanti a Grindelwald.
    Che idiozia.
    Ma quale fosse la vera ragione, era una questione di cui Ander non poteva essere messo a conoscenza.
    Dovevo stringere i denti e cercare di ricordarmi che quello non era veramente mio fratello.
    Ma non lo era veramente?
    Aveva il suo aspetto, aveva il suo corpo.
    Quello era mio fratello, con un impostore che stava abusando di lui.
    La sua voce mi scosse da quei pensieri.
    Mi ero distratto e non mi ero accorto che il viceministro Habbot, come da previsione, aveva fatto il suo ingresso al cimitero e si era fermato davanti alla fresca terra sopra la tomba della nipotina.
    -Mia figlia ne aveva uno simile. La aiutava a dormire.-
    Il fiato mi mancò in gola, mentre osservato ciò che era stato appena poggiato vicino alla lapide.
    Il mio corpo, per quanto così diverso dall’aspetto che aveva di solito, iniziò a tremare, di un tremito incontrollato, angosciante.
    Mi imposi di rimanere fermo. Mi alzai, senza difficoltà, dal luogo in cui mi ero appostato, e iniziai a muovermi tra le tombe per avvicinarmi da dietro al luogo in cui i due uomini discorrevano.
    Ander ricominciò a parlare, e ogni sua parola fu ancora più straziante della precedente. Ogni discorso era un coltello rovente piantato nella mia gola. Avvertivo una pesantezza all’altezza del petto che mi faceva camminare più lentamente. Avrei avuto bisogno del bastone a cui appoggiarmi, non era solo a causa della gamba malandata che lo portavo sempre con me.
    Il dolore che era stato principalmente di Iago, aveva coinvolto tutta la nostra famiglia, come un’ondata di devastazione attorno al nucleo centrale.
    Ma mentre Pilar e quelli che un tempo erano stati i miei genitori avevano potuto piangere insieme a lui, io ne avevo perso il diritto quando avevo disconosciuto quel mondo.
    Avevo tenuto il dolore per la morte di quei due bambini e della loro madre estremamente lontano dal mio cuore di ghiaccio. Non erano più nessuno per me. I figli di uno degli uomini che mi avevano tradito, e non potevo più permettermi di provare affetto o sofferenza nei loro confronti.
    Ma adesso, quell’eco mi rimbombava, accompagnata dalle parole espresse dalla voce di Iago. E per quanto provassi a tenere distinti i due abitanti di quel corpo, non riuscivo ad essere obbiettivo.
    E poi qualcosa cambiò nel tono dell’uomo che era stato così familiare, così fondamentale nella mia vita. Tornò ad essere concretamente Ander, con il suo scopo nella missione per conto di Grindelwald, con il ruolo da svolgere che gli era stato affidato.
    Seguii il suo discorso, fino alla stoccata finale, fino a quell’attacco diretto al lavoro svolto dal viceministro fino a quel momento. No, Iago non avrebbe mai parlato così.
    Ma si sarebbe odiato se avesse saputo di averlo fatto.
    Con il cuore in gola mi avvicinai ancora, silenziosamente, in tempo per vedere la figura di Habbot irrigidirsi vistosamente.
    E Ander perdersi con lo sguardo, nel luogo in cui io mi ero nascosto fino a poco prima. Cosa gli stava succedendo?
    Era in difficoltà o stava cercando il mio aiuto per quale ragione? Mi precipitai più velocemente.
    -Io la ringrazio per il suo gesto, signore. Ma non ho intenzione di ascoltare le sue critiche al mio operato, sulla tomba di mia nipote. Come si permette anche solo di insinuare…? -
    Fu in quel momento che intervenni, superando agilmente l’ultima fila di tombe che mi separavano da loro e parlando prima di raggiungerli.
    -Perdonatemi, signori, ma non ho potuto fare a meno di ascoltare l’argomento della vostra conversazione. -
    Mi fermai a pochi passi da loro e salutai entrambi con un secco cenno del capo.
    -Probabilmente ciò che il signore qui presente voleva dire è che la grave crisi che stiamo vivendo ha devastato gli animi di tutti, e il terrore aleggia su di noi come una cappa difficile da sollevare.
    È opinione comune che in questo momento di estrema delicatezza, il Mondo Magico sia chiamato a fare di più, per proteggere sia noi che il mondo babbano.-

    Il mio tono era conciliante e ammaliatore, non c’era accusa nella mia voce, solo comprensione. Almeno apparentemente.
    Il mio intento era ovviamente quello di irretire quell’uomo che dovevamo cercare di includere tra i portavoce delle idee di Grindelwald.
    -Voglio dire se anche un americano, lei è americano giusto? Anche mia madre, riconosco l’accento.- voltai lo sguardo verso Ander, anche se la mia voce era giovialmente distaccata, nei miei occhi scuri era evidente un’inequivocabile espressione di intesa.
    Ero lì, e non lo avrei lasciato solo.
    -Dunque se anche un americano si rende conto della difficoltà in cui verte la nostra Nazione, allora siamo veramente ad un punto che necessiti di un cambiamento. Siamo noi che abbiamo insegnato loro la politica, non è forse vero?-
    Tornai a voltarmi verso Habbot, che seguiva il discorso, stordito da tutte quelle apparizioni che avevano disturbato la sua commemorazione serale, e da tutte quelle voci che ormai faceva fatica a non ascoltare.
    Quante volte si doveva essere ridetto ciò che Ander ed io stavamo esponendo in quel momento? Quante volte doveva essersi martoriato e accusato per aver permesso indirettamente la morte della sua nipotina?
    La confusione sul suo volto parlava chiaro.
    Era il senso di colpa a devastarlo, oltre alla perdita stessa. E noi dovevamo giocare su quello, ma in maniera furba, non certo accusatoria, come aveva fatto Ander alla fine.
    Io e Iago, in fondo, ci eravamo sempre bilanciati in quel modo. Lui l’Auror impavido e potente, io il diplomatico, capace di adeguare i discorsi ai miei scopi.
     
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    Il suo sguardo si fece opaco ed il mondo cominciò a girare. Ascoltava le voci dei due uomini lì accanto e se ne sentì distante. La sua espressione era confusa. Lui lo era. C’erano momenti in cui, totalmente a caso, si staccava dal mondo. Si ritrovava come sospeso oltre il suo corpo, ad osservare la scena vissuta come da spettatore. Quando tornava in sè, si sentiva smarrito e necessitava di alcuni attimi per riprendersi. Accadde lo stesso in quel momento e se Jago non fosse intervenuto a prendere in mano la situazione, la confusione provata avrebbe spinto Ander - o forse per un attimo Iago? - a reagire in modo eccessivo.
    Tornato nel suo corpo ed in quella realtà, lasciò scivolare il suo sguardo su Josè, ascoltando il suo discorso per creare una scia che combaciasse col suo operato.
    “Che cosa intende? Fare guerra ai babbani non mi sembra la soluzione.” Il viceministro per quanto poco ben disposto nei loro riguardi - lo si vedeva dal modo in cui si metteva a distanza e assumeva una postura eretta, sulla difensiva - non accennava ad andar via, segno che in fondo i due Cervantes avrebbero potuto far leva su qualcosa per spingerlo a restare e soprattutto per convincerlo ad ascoltarli. Il dolore rendeva deboli ed il viceministro Habbott lo era. Iago avrebbe potuto capirlo, Ander no. Lui si era spinto su una sete implacabile di vendetta a cui avrebbe fatto modo di spingere anche l’uomo che aveva davanti. Non ci si poteva aspettare che il mondo facesse giustizia per altri. Ognuno era il giustiziere di se stesso. “Certo. La guerra non è mai la soluzione. Ma perchè accettare che i babbani facciano il bello e il cattivo tempo con i nostri figli dovrebbe essere giusto?” Piegò il capo indirizzando il proprio sguardo verso l’altro. Il suo volto per metà coperto dal buio della notte, si palesava sicuro. Fin troppo convincente.
    Annuì alle parole di Josè, prima di continuare con il suo operato. “Innanzitutto bisognerebbe pretendere che i no mag colpevoli siano giudicati da noi e non dai loro tribunali corrotti. Crede che con tutto quello che sta succedendo nel loro mondo siano interessati ad intraprendere seriamente un processo per una bambina? Una strega per di più? Si ricorda cosa successe durante la persecuzione della Santa Inquisizione? Noi ancora piangiamo i nostri morti a Salem.” Alimentava il senso di ingiustizia e la sofferenza provata per spingere l’uomo ad una resa. La disperazione non poteva certo portarlo soltanto all’autocommiserazione. Non sarebbe stato utili ai loro piani.
    “Il nostro ministero non si occuperà anche di questo adesso. Il ministro non acconsentirà mai.” Indirizzò a quel punto lo sguardo verso Josè, aspettando che la sua parlantina sortisse qualche effetto. In caso contrario, Ander sarebbe stato pronto ad utilizzare la maledizione Imperius sull’uomo. Fu per questo infatti che la mano nascosta dal mantello, andò a cercare il manico della bacchetta. “ Certo. Immagino le abbia detto che tutto il ministero farà il possibile ma che intanto bisogna mantenere la calma ed essere focalizzati.” Parole che anche lui si era sentito dire da suo padre. O così ricordava.



     
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    Anche se non avrei dovuto, anche se non avrei voluto, notai quell’attimo di esitazione che colpì il mio improbabile compagno.
    Mi accorsi, fin troppo vividamente del momento di spaesamento che aveva appena attraversato. Lo vidi tremare appena, per riscuotersi e tornare alla realtà.
    E per un attimo, anche il mio mondo rimase in sospeso.
    Il viceministro Habbot in piedi accanto a me, la tomba di quella povera creatura, il cimitero intero che ci faceva da contorno, svanirono in una nube scura.
    Cosa stava succedendo? Era bastato un momento, ma lo sguardo fervido e rabbioso di Ander si era sciolto in una nebbia vacua, incerta.
    Era veramente così grave la situazione? Iago poteva essere così vicino, a solo un battito di palpebre da noi?
    Era ben più preoccupante di ciò che avessi sospettato. Immaginavo che la distinzione tra le due personalità fosse profonda e che non potessero esserci interferenze reciproche. Ma ne ero veramente sicuro? Potevo affidare a questo l’esito di una missione, o eravamo tutti in pericolo?
    La diade costituita dall’alternanza tra Iago e Ander aveva sempre funzionato in maniera impeccabile, ma i disturbi mentali erano estremamente difficili da comprendere.
    E se su quel muro che sembrava dividere le loro vite si stessero cominciando a formare delle crepe? Iago avrebbe potuto presentarsi nel mezzo di una missione per Grindelwald. E Ander si sarebbe potuto palesare in un contesto in cui la sua presenza non sarebbe stata compresa.
    Era un pericolo in primis per se stesso.
    Venni colto da un’inspiegabile angoscia.
    Chi era lui per me?
    Avevo deciso di recidere quella radice che mi teneva ancorato ad un terreno marcio, dal quale avevo tratto un nutrimento di sola sofferenza. Mi ero ripromesso di non farmi più pungere dalle spine che si celavano sotto i contorni familiari e la voce ben conosciuta.
    Eppure non riuscivo a non provare un senso di responsabilità nei suoi confronti. Ci eravamo sempre presi cura l’uno dell’altro, avevamo superato ogni difficoltà per aiutarci reciprocamente, non c’era mai stata distanza che potesse tenerci lontani. Fino a quando non era stato tolto il velo che aveva rivelato come tutto quello in cui io avevo creduto fosse sempre stato una menzogna.
    Ascoltai Ander rispondere al viceministro, continuando ad osservarlo insistentemente, pronto a scattare ad un altro segno della potenziale presenza di Iago.
    Ma lentamente la sua voce mi convinse che per il momento non dovevo preoccuparmi oltre.
    Distolsi a fatica i miei occhi dal suo volto, e tornai ad osservare Habbot. In fondo era lui l’obiettivo della nostra missione, non potevo dimenticarmi di tenere focalizzata l’attenzione.
    Il tono di Ander era carico di rancore. Metteva in ogni parola, tutta la sofferenza che aveva provato anche lui. Che tuttora provava. Che gli aveva infettato il cuore da quando la sua famiglia era stata ridotta in cenere.
    Stava cercando di caricare della stessa rabbia anche il viceministro. E probabilmente c’era un terreno fertile nel quale poterlo fare. Non era una strategia sbagliata, in assoluto. Ma dovevo comunque cercare di indirizzarla verso un atteggiamento più utile alla nostra causa.
    Non ci sarebbe servito a niente un viceministro assetato di vendetta, sarebbe stato una bomba a mano, pronto ad esplodere. Esattamente come Ander, che io dovevo tenere sotto controllo per evitare danni collaterali.
    Esattamente come Iago.
    Ma chi teneva sotto controllo Iago?
    Assistetti allo scambio tra i due, con il cuore soffocato da una strana morsa. Ogni parola di Ander proveniva dall’esperienza di Iago, anche se lui non se ne rendeva conto.
    Avevano detto anche a lui che avrebbero fatto tutto il possibile? Glielo avevano detto i suoi affezionati colleghi? Glielo aveva detto persino l’insensibile Generale?
    Mi avvicinai di qualche passo, per cercare di scacciare quel pensiero con il movimento.
    -Questa è la ragione per la quale il Ministero inglese avrebbe bisogno di un cambio di rotta nella gestione. Avrebbe bisogno di personalità che capiscano la gravità del periodo che stiamo vivendo e che agiscano di conseguenza, invece di perdere tempo a cercare di evitare le guerre tra babbani o a proteggerli. Persone che si preoccupino della nostra sicurezza, prima che della loro.-
    Passai una mano tra i capelli, per ravviarli, prima di rendermi conto che quelli dell’uomo di cui avevo preso l’aspetto erano estremamente corti.
    -Non mi fraintenda, signore, io non penso che dobbiamo distruggerli o dichiarare loro guerra. Ma smettere di trattarli come se fossero superiori a noi, intoccabili. Perché evidentemente loro non si fanno gli stessi scrupoli nei nostri confronti.-
    Notai gli occhi di Habbot farsi più sottili, ma lentamente la sua postura stava cambiando, era proteso verso di noi, interessato all’argomento, agognante nell’ascoltare quel discorso.
    La mia voce melliflua, accattivante, aveva il compito di portarlo esattamente lì. Le nostre parole dovevano insinuarsi nella sua coscienza, e farlo vacillare.
    -Vediamo troppi esempi di questo tipo.-
    Accennai ad Ander con un rapido movimento del capo, e ignorai il groppo alla gola che stava lentamente formandosi.
    Tuttavia questo rese la mia voce più partecipe, quasi dolorante, poteva tornarmi utile per sembrare più convincente e sincero.
    -Non c’è alcun bisogno di una guerra. Se il Ministero dichiarasse nullo lo Statuto di Segretezza, e scardinasse la politica babbana, loro si ritroverebbero allo sbaraglio, e a quel punto li guideremmo come un gregge di pecore. Ci seguirebbero come se fossimo i loro pastori, e non oserebbero contraddirci, per paura delle ripercussioni. So che il mio è un discorso forte, ma quelli che stiamo vivendo sono tempo troppo duri per infiocchettare la realtà. Dobbiamo proteggerci, e per farlo abbiamo bisogno di prendere in mano la situazione.-
    Puntai gli occhi in quelli del viceministro, e li scrutai, alla ricerca di una traccia di cedimento.
    -Ovviamente, per fare questo ci sarebbe bisogno di qualcuno interno al Ministero che sia disposto a dare vita a questo cambiamento epocale.-
    Sospirai, con una punta di teatrale amarezza.
    Non era ancora il momento di rivelare chi fossimo. Di offrire il nostro aiuto. La terra ancora troppo inaridita per poter veder crescere dei frutti. Non potevamo avere fretta.
    Ma potevamo almeno sperare in qualche piantina, da continuare ad annaffiare, laddove stavamo piantando dei semi.
    -Lei ha delle idee estreme, ma interessanti, signore. Certo tutto questo è qualcosa di cui riflettere attentamente, senza dare niente per scontato.-
    La voce del viceministro tagliò l’aria in maniera imprevista, aveva perso la sua salda spavalderia di poco prima.
    Lo vidi rivolgersi verso Ander.
    -Si mi è stato detto che avrebbero fatto il possibile, ma ancora non hanno mosso un dito per imputare coloro che… che…-
    E a quel punto, il viceministro Habbot cominciò a crollare. Il suo corpo venne scosso da un tremito convulso, si portò una mano alla bocca, per trattenere un singhiozzo, mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime.
    Il suo corpo si piegò in avanti e per un attimo temetti che stesse per cadere.
    Compii i pochi passi che mi separavano da lui, lo circondai con un braccio attorno torace, per evitare che perdesse l’equilibrio, e sentii il suo corpo abbandonarsi contro di me.
    Provai compassione per quel vecchio, devastato dalla perdita.
    Ma non durò più di un attimo.
    Lanciai un’occhiata ad Ander. Ora era il momento di dare la stoccata finale.
     
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    [Ander]
    Avrebbe optato per una tattica differente, più incisiva e meno lunga. Sicuramente avrebbe optato per qualcosa che avesse implicato meno chiacchiere ed una minor perdita di tempo, ma per qualche ragione l’altro aveva deciso per entrambi, ed Ander, nonostante le minacce rivolte all’altro, glielo aveva lasciato fare.
    Sperava soltanto che tutta quella fatica portasse a qualcosa e non ad un frustrante nulla di fatto. “E’ ingiusto che un uomo come lei, che ha sacrificato tanto per la sua patria, venga ripagato così. Con il silenzio.” Incalzò, facendo leva sul profondo malessere causato dall’ingiustizia subita. L’uomo si impegnava a nascondere il rancore provato per il bene della nazione, ma per Ander il fuoco della vendetta andava alimentato. E quasi a quel punto non c’entrava più Grindelwald e la sua guerra. Quella era una questione di principio. “Lei è il viceministro!” Aggiunse poco dopo, alzando la voce di un tono. Dentro gli ribolliva una rabbia ingestibile. Era quasi come se, inconsciamente, riversasse in quell’argomento la frustrazione provata per la propria ingiustizia. Spingeva l’uomo a vendicarsi allo stesso modo in cui aveva spinto se stesso.
    Umettò le labbra, guardando Josè poco distante, prima di continuare. “Scommetto che più di una volta ha dovuto coprire i passi falsi del capo dello stato.” Ipotizzava qualcosa di non così irreale. Dopotutto i ministeri erano creati da uomini che, come tali, erano soggetti ad errori. Il ministro inglese aveva sicuramente peccato in qualcosa e al vice o chi per essi, era spettato l’arduo compito del riparo.
    “Ma che ministro è uno che non si occupa di dare sollievo e giustizia anche solo al suo vice? E’ come un padre che volta il capo a suo figlio. Lei lo farebbe?” Mettere un cerotto su una ferita insanabile, era questo che Ander sentiva fosse stato fatto a lui. Era quel pensiero ad animarlo più del dovuto, spingendolo in un discorso accorato e fin troppo sentito.
    Attese qualche attimo prima di continuare ed avviarsi verso la conclusione di quel discorso politico. “Se fossi di queste terre, mi sentirei più al sicuro ad avere lei come ministro. Un uomo che conosce la sofferenza, è un uomo saggio.” Insinuava nella sua mente la scintilla dell’orgoglio, dell’ambizione. Faceva leva non soltanto sul senso di giustizia, o meglio, vendetta, ma sulla sua vanità. Gli uomini, i politici, cadevano sempre dinanzi a simili tranelli. “Ma queste sono solo le opinioni di uno straniero. Non ci badi.” Scosse il capo. Non aveva nulla da dire. A quel punto sarebbe spettato a lui decidere come agire. “Anzi, si è fatto tardi per me. Porgo ad entrambi i miei più cari saluti. Sperando di rincontrarvi in circostanze migliori di un mondo migliore.” Gli offrì la mano, stringendola con cortesia. Rivolse a Josè un saluto e poi alla lapide un ultimo sguardo. Per qualche ragione, sentì di aver bisogno d’aria, come se avesse tenuto il respiro fino a quel momento.

    Aveva atteso a distanza che Josè completasse la sua messinscena. Ander d’altro canto, si era concesso ad un lungo avanti ed indietro fuori le mura del cimitero, lì dove attendeva il suo collega. Quella situazione aveva suscitato in lui una furia implacabile che aveva già riversato contro il fusto di una quercia. Per quanto si sforzasse di dare un senso a quel dolore, a volte faticava a trovarne uno. La vendetta posticipata era un problema a cui dover porre rimedio nel breve periodo. Solitamente così, sfogava la propria rabbia, cercando una pista da sè, e battendosi in violenti scontri con chi alimentava la sua furia. Lo avrebbe fatto anche in quell’istante se non avesse dovuto concludere quella missione. Quando finalmente vide Josè avvicinarsi, gli andò incontro di qualche passo. Si guardò attorno per assicurarsi della solitudine di quel posto, prima di parlare. “Ha abboccato o dobbiamo utilizzare ad altro? Cruciatus? Imperius?” Quelle parole sarebbero potute sembrare strane pronunciate da lui. Da Iago almeno. Lui però era un altro uomo.


     
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    Osservai Ander mentre parlava. I movimenti scattosi , l’espressione rigida, insensibile, venivano lievemente ammorbiditi dal peso della sofferenza che aveva vissuto e dalla consapevolezza di essa.
    Ma nonostante questo, aveva ben poco in comune con quello che un tempo avevo chiamato fratello.
    Anche se il suo aspetto era il medesimo, stando in sua presenza, mi dimenticavo quasi che fosse lui in alcuni momenti.
    Sempre maggiori.
    Ander era più potente. Spinto dallo spirito di assetata vendetta, si muoveva con la forza della disperazione. Non c’era niente che valesse la pena di gustare nella sua vita. Era un’arma. Un soldato il cui unico scopo era quello di portare a termine la sua missione. Tutto il resto era una vana inutilità.
    In molti aspetti era simile a me.
    Anch’io, da quando avevo scoperto che la mia vita era stata una menzogna, avevo smesso di vedere i colori delle cose attorno a me. C’era solo un grigio asfissiante di nebbia. Un grigio inodore e insapore, in cui l’unico battito del cuore veniva animato dalla rabbia e dal desiderio di soddisfare l’uomo che mi aveva accolto sotto la sua ala quando tutto sembrava perduto.
    Eppure in quel deserto emotivo, venni colto da un pensiero, ancora più doloroso, eppure stranamente vivo.
    Lunghi capelli rossi che si dipanavano come onde nel momento in cui una mano candida sfilava un cappello da uomo.
    Mi riscossi quando colsi un movimento al mio fianco.
    Il viceministro Habbot riprese contegno e si discostò leggermente dalla mia presa, per ascoltare anch’egli le parole del mio complice.
    Ma nonostante nemmeno la voce fosse quella di Iago, bensì più dura, come lo scavare contro la roccia di una caverna profonda, le parole che Ander pronunciava dovevano essere influenzate in qualche modo da sensazioni che anche Iago aveva provato. O forse che provava tutt’ora.
    Un crescendo di angoscia si scatenò all’altezza del mio petto, mentre il mio collega incalzava il politico che avevamo intrappolato tra i nostri discorsi.
    -È come un padre che volta il capo a suo figlio. Lei lo farebbe?-
    Trattenni il fiato mentre un rumore sordo rimbombava nella mia testa.
    Iago.
    Possibile che anche lui avesse sofferto, in modo non troppo dissimile dal mio, a causa dell’uomo che ci aveva cresciuti?
    Iago.
    Possibile che anche lui si fosse sentito tradito da una persona che aveva sempre giurato di proteggerci a qualunque costo?
    Iago.
    Possibile che il dolore ci accomunasse ben più di quanto avrei immaginato, e che continuasse a perseguitarci come un lupo bramoso di sangue delle sue vittime?
    Il suo tono diventò più mite, fino al momento in cui si approcciò a congedarsi. Il distacco non fu improvviso, ma io lo avvertii comunque come una lama all’altezza dello stomaco.
    Non volevo che se ne andasse.
    Ma nonostante il mio desiderio inespresso, Ander strinse la mano di Habbot, accennò un saluto rivolto nei miei confronti e voltò cordialmente le spalle ad entrambi.
    Rimasi per un attimo ad osservare la sua schiena, curva per il peso di ciò che gli stava succedendo e di cui non aveva ancora la piena comprensione.
    Come potevo lasciarlo in quelle condizioni? Come potevo permettere che altalenasse da una personalità all’altra, senza che nessuno sapesse l’angoscia in cui questo lo costringeva a vivere?
    La voce di Habbot mi riscosse dal frenetico elucubrare.
    -Io so cosa intende con le sue parole, signore. Capisco che ci sia un movimento che punta proprio nella direzione che lei mi sta indicando. E non sono così ingenuo da rendermi conto che non sia un caso che lei sia qui stasera. -
    Trasalii appena, anche se questo non trasparì all’esterno. Voltai lentamente lo sguardo sul viceministro.
    -Non ho mai pensato che lo fosse, viceministro. Altrimenti non ci sarebbe stato alcun interesse ad avvicinarmi a lei. Il lavoro che ha fatto in questi anni è stato impeccabile.
    Noi vorremmo solo che dedicasse il suo intelletto alla giusta causa.-

    Incrociai i suoi occhi. Oltre la cortina di lacrime, brillavano di una luce che conoscevo bene. La sofferenza che cercava vendetta. Quella stessa che traspariva dai miei occhi e da quelli dell’uomo che si era impossessato del corpo di mio fratello.
    Mi scrutò per un attimo e io sostenni quell’esame con espressione calma.
    Il viceministro si prese il tempo di cui aveva bisogno, capivo che stava riflettendo accuratamente su cosa dire, ma che in cuor suo aveva già preso una decisione.
    -E come posso fare per mettermi in contatto con voi?-

    Attraversai la porta dalla quale eravamo entrati solo un’ora prima, e lentamente avvertii gli effetti della Polisucco svanire e il mio aspetto tornare a quello originario.
    Mi appoggiai con il solito vigore faticoso al bastone per riuscire a camminare in modo quantomeno decente.
    Trovai Ander poco lontano da lì e mi avvicinai a lui. Quella discussione lo aveva evidentemente provato, i lineamenti del suo volto erano distorti da una maschera che li rendeva quasi irriconoscibili. Persino per me che li avevo sempre considerati familiari.
    Le sue parole successive mi incupirono ulteriormente.
    Scossi seccamente la testa.
    -Non ci sarà bisogno di ricorrere a metodi del genere, il viceministro collaborerà con noi, a favore di Grindelwald.-
    Sussurrai per evitare che orecchie indesiderate potessero udire i nostri discorsi.
    -Abbiamo accordato il nostro prossimo incontro entro breve. Non possiamo perdere il vantaggio conquistato stasera.
    Il tuo contributo è stato fondamentale.
    So che non ti importa della gloria all’interno della nostra missione.
    Ma parlerò con Grindelwald raccontandogli di quanto tu sia stato fondamentale, di modo che possa aiutarti con ciò che desideri. Qualsiasi cosa sia.-

    Sapevo perfettamente cosa andasse ricercando, ma lui non poteva saperlo. Non doveva saperlo. Era essenziale che rimanesse all’oscuro.
    Mi maledissi mentalmente.
    Com’era possibile che, dopo tutto quello che avevo passato per colpa di quella famiglia, io continuassi a preoccuparmi per lui? A cercare di tutelarlo?
    Iago mi disprezzava, se Pilar in qualche modo aveva continuato a persistere con l’idea che io potessi essere redento, ero convinto che mio fratello non mi avrebbe riservato la stessa cortesia. E allora perché io sprecavo il mio tempo ad angosciarmi per la sua salute?
     
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