deep inside.

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    Non tutto si può nascondere sotto il tappeto, mettere in una scatola da relegare in un angolo, chiudere a chiave nella stanza più remota di un castello. No, a volte non esiste un contenitore abbastanza grande per contenere tutto il marcio che la vita accumula dentro di te.
     
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    Cercami dove sei
    Nascosta e tremula



    Una volta le tue braccia erano per me il rifugio più sicuro del mondo. Mi ci accoccolavo ogni volta che avevo bisogno di ascoltare la tua voce dirmi che non ero io quella sbagliata e che c'era un mondo fuori da quelle braccia che lo sapeva, esattamente come lo sapevi tu.
    Quand'è stato che questo è cambiato? Quando le tue braccia mi sono diventate nemiche e le tue parole mi sono parse per la prima volta, vuote?
    Mi avevi detto che essere diverse era un valore di cui dovevamo andare fiere. Essere diverse era un superpotere che bastava imparare ad usare... Ma sai dove mi ha portato questo superpotere? Non è mai stato in grado di proteggermi dagli insulti e dall'odio che la gente riserva a quelle come noi, a quelle come me.
    Era tutto così facile quando ero bambina e tu mi stringevi. Facile mentre giocavamo a rincorrerci e mi insegnavi a distinguere una radice dall'altra, un fiore dall'altro... Ma non mi hai insegnato a difendermi al di fuori delle tue braccia, in questo mondo che non è come me lo hai raccontato. Perchè in verità, mamma, il colore della mia pelle è un problema in questo mondo. Lo è il mio essere femmina. Lo è il saper dipingere coi colori del vento... Mamma, il vento non ha colori ed il nostro è il colore sbagliato per stare a questo mondo e tu mi ci hai mandato facendomi credere che sarebbe andato tutto bene ed invece è stata la tua bugia più grande.
    A difendermi ho dovuto impararlo da sola e sento che non sempre il modo è quello giusto, ma ho imparato solo questo, che è il loro e sembra essere efficace solo a tratti.
    E mi sento sola... mandata sola e allo sbando, perchè la tua lingua è una lingua troppo viscerale, troppo antica e diversa per poter essere capita da altri oltre che da noi. Ed ho dovuto imparare a parlare una lingua non mia per sopravvivere in questo mondo a cui non ero preparata...
    Mamá, ¿por qué tantas mentiras? ¿Por qué me enviaste al mundo tan desprevenido?


    Uno vieni qui
    Due non andare via
    Tre stammi lontano
    Quattro sono i nostri occhi...

     
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    And I quite miss home
    And I miss you telling me
    To leave my shoes at the door
    ‘Cause you just swept the floor and the dirt drives you crazy...


    IMkTZYR


    La nostra casa è stato il posto più bello del mondo. Un mondo che non ci prevede, che ci vuole nascoste e mute, grigi ed incolori.
    Casa nostra era un'esplosione di colori, perchè a te piaceva il rosso ed il marrone ed io amavo il blu e l'arancione e non c'era spazio per il grigio, né per il silenzio perchè dappertutto rimbalzavano le nostre risa ed il suono dei nostri baci.
    Quei baci trattenuti per tutto il tempo che potevano essere visti. Quelle carezze discrete ma ardenti, di mani tremanti e smaniose... E chiusa la porta di casa, la nostra pelle quasi sussultava.
    Vorrei che potessi ricordare anche tu... il profumo del pozole che dalla cucina invadeva la casa, la confusione che la mattina originava la solita faida fra thè e caffè e nessuna di noi voleva cedere all'altra perchè la colazione era sacrosanta... Quasi come trovare il tempo per starcene semplicemente accoccolate sul divano. A te piacevano le poesie di Whitman e della Dickinson e a me piaceva ascoltare la tua voce leggerle...
    E di tutto questo cosa ricordi tu? Quei colori si sono spenti e quelle risa non hanno più eco, il freddo che ha sostituito i nostri baci...
    E quella cosa ora è vuota, buia, silente.
    Non ci sono più tornata, Sophie. Non ne ho mai avuto il coraggio. Non potevo senza te... Il mondo ha forzato la porta, ha invaso la zona franca del nostro amore e ha rovinato ogni cosa. Non gli è più bastato relegarci dietro 4 mura, no... Ha voluto toglierci ogni spazio. Ti chiedi mai perchè? Non puoi più farlo... Ed io? Io ho dovuto accantonare perchè quella domanda non mi annientasse. Sopravvivo Soph... vivere non è più possibile. E così mi trascino sulle gambe riempiendo il vuoto con obiettivi forse impossibili. Perchè? Perchè nn lasciarsi andare e basta? Non ne ho il coraggio Soph e so che, anche se non ti ricordi di me, non me lo perdoneresti mai.
    Nemmeno adesso che la tua mano ne stringe un'altra, e vivi la vita che avresti dovuto e che tutti si aspettavano per te... Tu non me lo perdoneresti e nemmeno io me lo perdonerei.
    Ho troppo ancora da fare, devo provare ad aggiustare almeno in parte ciò che è stato rotto...

    Te quiero,
    tuya,
    Pi.


    Yeah, I quite miss home
    ‘Cause it feels like poetry
    When the rain falls down on the window
    While you’re in my arms and we’re watching the T.V
    Yeah, I quite miss home...
     
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    Ho visto andare tutto in fiamme,
    la nostra storia e quel che c’è.


    9dwMGGv
    Non è successo tutto all'improvviso,
    come un tornado che si abbatte sulla città.
    No.
    É successo un po' per volta.
    Ma questo non ci ha dato il tempo
    di abituarci
    alle evitabili conseguenze
    di quelle crepe.
    Ricordo tutto distintamente,
    e una parte di me non vorrebbe.
    Ma è così che funzionano i ricordi, no?
    Sarebbe semplice cancellarli...
    ma è la nostra storia
    a fare di noi ciò che siamo,
    e la nostra,
    quella della mia famiglia,
    non è una storia semplice.




    4r6s8w9
    Il litigio che lo portò via fu violento. Mio padre urlava ed Josè ben presto smise di rispondere con pacata veemenza. Non avevo mai sentito mio padre urlare prima di allora. Artemio Baltasar Cervantes Murillo non urla, non si scompone. A lui bastava uno sguardo, un silenzio più intenso a far cessare ogni nostra rimostranza. Quegli sguardi e quei silenzi erano più duri di qualsiasi schiaffo.
    Anche mia madre gridava. Ma erano singhiozzi, “no” disperati. Qualcosa di davvero drammatico stava succedendo al di là delle porte dello studio di nostro padre. Qualcosa che portò lo crepa ad aprirsi. Fu con quella furia che si spalancò la porta e ne uscì Josè. Fu con quella stessa furia che attraversò a passo spedito, reggendosi e facendosi forza sul bastone che gli avevo regalato, lo spazio che separava lo studio di nostro padre dal portone di casa. Era in quello spazio che mi sentii invisibile. Josè avrebbe potuto attraversarmi, e lo fece, in qualche modo. Lo fece non guardandomi. Lo fece non fermandosi quando tentati di bloccarlo e chiedergli cosa fosse successo.
    Invisibile.
    E quando il portone si chiuse alle sue spalle, sola.
    Il figlio del Capo Auror del MACUSA si era unito alle schiere di Grindelwald. Per tutti fu un duro colpo. Non so se fra noi ci fosse qualcuno che si sentì più colpito degli altri. Forse tutti... Avevamo tutti una buona ragione per sentirci traditi, arrabbiati, increduli.
    Iago rivoltò la sedia dell'ufficio di nostro padre in un gesto carico di rabbia. Di nervosismo. Nostro padre era rimasto seduto alla scrivania, le dita delle mani l'una intrecciate a quelle dell'altra. Quando Iago rovesciò la sedia, l'osservai passarsele fra i capelli e sul viso. Non mi era mai sembrato così... vecchio, fragile.
    Io?... Io non volevo crederci. Mi girai ed uscì da lì. Lungo i corridoi del Dipartimento mi ritrovai a correre. Correvo perchè volevo andare più lontano possibile da lì. Correvo perchè volevo raggiungere quella riva del Canale Washington dove sapevo che l'avrei trovato, dove eravamo soliti andare durante la pausa pranzo... Corsi fin lì, col cuore che mi batteva nella gola. Lui non c'era.


    CguXmBC
    Passò un intero anno da allora. Un intero anno prima che arrivasse la scossa che portò la crepa a farsi voragine.
    Dei maghi oscuri attaccarono la casa di Iago. Non arrivammo in tempo... Mio fratello non era in casa, ma sua moglie Neli ed i loro bambini si. Quei bastardi appiccarono un ardemonio. Quando arrivammo sul posto era troppo tardi. Vidi mio fratello gettarsi in casa, fra le fiamme nel disperato tentativo di salvare sua moglie e i suoi bambini... Solo qualche giorno prima avevamo festeggiato il compleanno di Ana... Come si poteva essere così crudeli?
    Nostro padre ed io ci lanciammo dietro di lui. Cercò di dissuadermi a seguirli, ma non sono mai stata lodata per l'obbedienza.
    Riuscimmo a portarlo via da quella casa, prima che crollasse su tutti. L'ardemonio s'era avventato anche su di lui. La corsa al Metrodora Hospital... Non potevo perdere anche Iago. Non così... Mi sentivo già mancante, come se qualcosa mi avesse strappato un pezzo. Ed il mio passo era zoppo ed incerto. Non potevo perdere anche lui.
    Rimasi accanto a lui giorni, fino al suo risveglio. A nulla valsero le parole dei nostri genitori o dei guaritori, non l'avrei lasciato lì da solo nemmeno un istante.
    E alla fine, come c'era stato assicurato, Iago si svegliò
    La sofferenza trasformò tutti noi, ma lui... lo rese irriconoscibile. Guardavo i suoi occhi e, dopo la rabbia cieca, non ci vidi nulla. Perso. Perso per sempre.
    Mi domando ancora oggi se quella notte, tirandolo via dalle fiammo, lo avessimo davvero salvato. Se non fosse stato più giusto e caritatevole lasciarlo andare assieme alla sua famiglia...

    Inghiottiti.
    Quella voragine ci ha inghiottiti e da allora brancoliamo nel buio.
    Brancolo nel buio.



    Questa non è
    una storia facile
    c’è chi racconta di bugie spalmate
    sulle bocche asciutte
     
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    Promettimi che prima di dormire,
    qualche volta, non tutte le sere, ti innamorerai
    più poco o tanto, non ti accontenterai...
    Promettimi che prima di pesare il prossimo passo e pensare se vale
    ti ricorderai di sentire dentro cosa vuoi...


    eP1XxF6
    Quando ti misero fra le mie braccia provai un'emozione che ancora oggi non so descrivere.
    Andava dall'euforia, passando per il terrore della responsabilità e l'orgoglio per quella fossetta fra le sopracciglia, mentre piangevi e gridavi, così simile alla mia.
    Piangevi quando tua madre ti scostò da sé per darti a me. Ed io ricordo che le gambe mi si fecero molli e che balbettavo che forse non avrebbero dovuto darti a me, che non sapevo come tenerti, e se ti avessi fatto cadere?!
    Ero solo una ragazzina e tu eri così piccola, Anisita mia... Poi, ad un certo punto, mi guardasti. I tuoi grandi occhi marroni incontrarono i miei e piano piano smettesti di piangere.
    La tua mami ed il tuo papi ci guardavano sorridendo. Fu con quello stesso sorriso che il tuo papi, mio fratello, stingendo per le spalle la tua mami, ti disse dolcemente, “Hola pequeña, esta es tu tía Pilar.” poi fece una pausa e mentre iniziavo a sentirmi più sicura avendoti fra le braccia, aggiunse: “Tu madrina.”
    Ricordo lo stupore.
    Alzai lo sguardo sui tuoi genitori, su mio fratello Iago, chiedendomi se stessero scherzando. Vidi mio fratello, quello scemo del tuo papi, ridere ancora più forte. Mi prendeva in giro, capisci?!
    Tu eri una pequeña, Bicha, ma ti assicuro che nemmeno io mi sentivo così grande in quel momento. Essere la tua madrina... le gambe continuavano a sembrarmi molli.
    Eppure ti ho guardato e tu ridevi, forse della mia faccia da trucha. Ridevi ed allora ho capito, per quella fossetta che è anche la mia, che ti avrei protetta ed amata per il resto della mia vita.
    Ero diventata tua a quel primo nostro scambio di sguardi. Tua io e tu... la mia piccola Bicha.


    s9rWWAo

    “WOW! Un altro giro tìa!” esclamasti entusiasta.
    Avevi un sorriso così ampio che gli angoli della bocca erano quasi vicino le orecchie. Ed eri buffa, Bicha, tanto buffa con quello spazio vuoto che aveva preso il posto degli incisivi. Due denti in un colpo solo!
    E quanto t'indispettisti perchè la fatina dei denti ti aveva lasciato comunque una sola monetina.
    Toccammo terra e non volevi scendere ancora dalla scopa.
    “No Bicha, che se lo sa tuo padre finiamo nei guai sia io che tu.” ti risposi dandoti un colpetto sul naso. Era la prima volta che volavi, perchè tuo padre era apprensivo quasi quanto il mio.
    “Eddai... da quando hai paura di papi?” obiettasti incrociando le braccia, ma scendendo dalla scopa e guardandomi con la tua solita espressione imbronciata, anche se non eri davvero arrabbiata.
    “Chi ha detto che ...” iniziai scendendo a mia volta dalla scopa, poi aprii la bocca con fare scioccato, guardandoti, “Piccola chiulita! Me la stavi facendo, eh?!” esclamai acciuffandoti e prendendo a farti il solletico.
    Tu ridevi e ti dimenavi, fin quando non riuscisti a liberarti e iniziasti a correre verso casa dei nonni. “Non mi prendi tìa Pi!”




    Volevi fregarmi e ci saresti riuscita. Ci riuscivi sempre... Eravamo così simili tu ed io, Bicha.
    Avrei dovuto proteggerti e mantenere tutte le altre promesse che ti ho fatto.
    Insegnarti a giocare a Quidditch meglio di un maschio. Accompagnarti al circo del grande Bauful Bathool. Mangiare cioccorane fino a farci venire il mal di pancia...
    Invece adesso mi chino a posare fiori vicino la tua foto e a quella della tua mamma e di tuo fratello.
    Tiro su col naso e sbatto le palpebre nel tentativo di ricacciar via le lacrime.
    Ricordi quale desiderio avevi espresso spegnendo le candeline, qualche giorno prima che...
    Chiudo gli occhi e trattengo male un singhiozzo. Io lo ricordo...
    Ti prometto, Bicha, che quel desiderio lo realizzerò per te.
    Tua, tìa Pi.




    Io con te ho imparato a dire ti voglio bene
    e a saltare senza contare e che conta quel che rimane
    Cambia tutto, ma quello resta sempre uguale
    Credo che sia questo amore e credo che sia questo amare...


     
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    9jmKsqu

    Se tu venissi in autunno,
    Io scaccerei l’estate,
    Un po’ con un sorriso ed un po’ con dispetto,
    Come scaccia una mosca la massaia.

    Se fra un anno potessi rivederti,
    Farei dei mesi altrettanti gomitoli,
    Da riporre in cassetti separati,
    Per timore che i numeri si fondano.

    Fosse l’attesa soltanto di secoli,
    Li conterei sulla mano,
    Sottraendo fin quando le dita mi cadessero
    Nella Terra di Van Diemen.

    kQtLof5
    Fossi certa che dopo questa vita
    La tua e la mia venissero,
    Io questa getterei come una buccia
    E prenderei l’eternità.

    Ora ignoro l’ampiezza
    Del tempo che intercorre a separarci,
    E mi tortura come un’ape fantasma
    Che non vuole mostrare il pungiglione.

    ~Emily Dickinson
     
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    Do you ever think we had a chance?
    Now I see it when I'm looking back
    We were hopeless romantics


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    Adoravo andare in giro per Manhattan, lo trovavo un posto estremamente vivo, e delle strade dell'isolotto, amavo particolarmente Minetta Street. Sotto il cemento e l'asfalto, resisteva il corso d'acqua che i miei antenati chiamavano Manette, lo spirito dell'acqua. Potevo sentirlo scorrere sotto i miei piedi, implacabile anche se invisibile. Resiliente, come avevano dovuto essere i miei nonni e i loro cari, per non cedere alla colonizzazione dell'uomo bianco.
    Minetta Street è la strada che ci ha fatto incontrare.
    In Minetta Street tu avevi un negozietto di thè. Era piccolo, disordinato, si respiravano mille profumi e un giorno decisi di entrarci, dopo esserci passata davanti tante e tante volte ed aver sbirciato dalla vetrina per guardarti... Un regalo per mia madre mi sembrò il pretesto giusto. D'altro canto perchè avresti dovuto sospettare fosse una bugia? Perchè avresti dovuto sapere che mi ci erano voluti giorni per formularne una di così ovvia, mentre cercavo il coraggio di entrare e scoprire quale suono avesse la tua voce?
    Dal riflesso della vetrina, sembravi così sicura di te mentre ridevi con i clienti e consigliavi loro quale varietà di thè assaggiare...
    Quando mi decisi ad entrare, ricordo solo che ero nervosa. Talmente nervosa che diedi una spallata ad un mobiletto di legno, messo sopra un altro mobiletto simile ad un comodino e che questi traballò e per poco non mi cadde addosso. Mi chiesi perchè mettere le cose in un equilibrio così precario, ma quella domanda non era importante. Non quando improvvisamente mi fosti vicina e mi aiutasti a raddrizzare il tutto. Ridevi, probabilmente dovevo esserti sembrata un'imbranata... avresti poi imparato che in fondo un po' lo ero davvero! Dicesti qualcosa sul fatto di esserti trasferita a Manhattan perchè non ne potevi più degli uragani, ma che a quanto pare eri destinata ad averci a che fare. Io ti chiesi scusa, imbarazzata e tu mi rassicurasti subito, che non importava. Ciò che contava e che non mi fossi fatta male. E alla fine la domanda su se potessi aiutarmi. Certo! Avevo bisogno di fare un regalo a mia madre, e allora subito mi chiedesti che tipo fosse e credo sia stata una delle domande più difficili che tu mi abbia mai posta. Risi nervosa ed iniziai a descriverti quella che secondo me era mia madre. Ascoltasti tutto con attenzione, prima di sparire dietro una pila di scatole da thè metalliche e colorate. Tornasti da me con un vasetto in terracotta con dentro delle foglie secche e chissà quale altra spezia e mi dicesti di annusare, di sentire l'aroma. Io sono sempre stata un tipo da caffè, che di thè ne capiva poco... Ma quelle foglie di thè avevano il profumo di mia madre. I miei occhi si sgranarono e tu non trattenesti l'ennesima risata.
    Comprai quel thè ed uscii dal tuo negozio avendo finalmente scoperto che suono avesse la tua voce. Un suono morbido, che saliva su dal ventre, sfiorando appena la gola. Un suono senza spigoli, dolce...
    Tornai al tuo negozio molte altre volte, almeno dieci, ed ogni volta era per regalare del thè a qualcuno. Parenti, amici, persone che in realtà non esistevano.
    Un giorno mi guardasti negli occhi e mi dicesti che ti piaceva la mia energia, ed io ti risposi che non capivo cosa volessi dire. Alzasti l'indice della mani destra, come a dirmi di aspettare, e tirasti fuori un piccolo contenitore di legno, tutto intarsiato. Guardandomi con un sorriso diverso dal solito mi dicesti che lì dentro c'era il tuo thè preferito e poi mi chiedesti se avessi voglia di scoprire quale fosse il suo profumo. Aggrottai le sopracciglia, per la prima volta in tua presenza. Adorasti subito quella mia espressione.
    Mi ci vollero mesi prima di scoprire quale fosse il profumo di quel thè. Occorse prima conoscere il tuo nome, Sophie. Scoprire che ti piaceva da matti ballare, ma che eri decisamente stonata! Che il tuo piatto preferito era il pabellon criollo, che tua madre si chiamava Alba, che da bambina avevi un cagnolino nero con una macchia bianca sulla zampa. Che ti piaceva il sole, ma amavi il profumo che si alzava dalla terra dopo la pioggia... Che la tua casa stava proprio sul tuo negozio.
    E a te occorse imparare il mio di nome. Scoprire dove finiva quel solco che mi si formava fra le sopracciglia quando le aggrottavo, che quell'espressione mi finiva fin dentro gli occhi e li riempiva. Ti servì scoprire che invece io ero intonata, ma che avevo vergogna di ballare. Imparasti che discendevo da chi questa terra americana l'aveva curata e amata prima di qualsiasi altro popolo, e che avevo due fratelli più grandi.
    Ad entrambe servì capire che le nostre mani erano perfette quando intrecciate le une alle altre e che le nostre labbra sembravano fatte per sfiorarsi...
    Fu la prima mattina che ci risvegliammo insieme a casa tua, che finalmente scoprì di cosa sapeva il tuo thè preferito.
    Quel thè nero dal sapore intenso.
    Sgranai di nuovo gli occhi, di nuovo incredula. Poi scoppiammo a ridere.
    Quel thè aveva il profumo dei miei capelli.

    WRrGylO



    How did this happen?
    Baby, our love was beautiful, now it's tragic
    We were hopeless romantics
    But I can't imagine
    Falling in love with anybody else, anybody else ...

     
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